La Pasqua dei poveri, di chi vive in condizione di emergenza al punto da avere necessità di rivolgersi alle mense diurna della Brunella o serale di via Luini oppure ad un letto nel dormitorio pubblico o presso gli Angeli Urbani, ha il sapore della quotidianità. Difficile da capire, magari anche solo da intuire, ma è questa una realtà con la quale Varese fa i conti ormai da tanto tempo.
Il numero delle persone in stato di precarietà sale a dismisura e si diversifica con grande rapidità: a fianco di coloro stabilmente ospiti delle mense, tanti sono infatti i volti nuovi che si assiepano dietro un cancello e attingono al sacchetto provvidenziale che, sera dopo sera, rappresenta l’unica forma di stabilità e certezza. Ed è della settimana scorsa la notizia improvvisa della scomparsa per malore di un ospite, la cui esistenza era stata addolcita solo poco tempo fa dalla nascita di un bimbo: una morte silenziosa, come sanno esserlo quelle dei semplici, eppure densa di tristezza per chi, come Madre Maddalena e le sue suore o i volontari, danno ad ogni volto un nome e, dietro quel nome, nel tempo e nella familiarità, leggono storie, tante storie di fatica, una diversa dall’altra.
La Pasqua dei poveri è quella di una mamma che, ancora in questi giorni, timidamente chiedeva qualche abito per la figlia undicenne che aveva con sé per mano mentre riceveva la cena. La Pasqua dei poveri è quella del sorriso, non spento anche se nella fatica, sul volto di una giovane ragazza che, rispettando i tempi della fila in attesa, mi raccontava del suo percorso scolastico in un istituto della città. La Pasqua dei poveri è quella di un neonato che in questi giorni ha compiuto il suo terzo mese di vita ed era lì, tra le braccia del papà e accanto alla sorellina di pochi anni più grande, a vivere l’inconsapevole distanza della sua vita da quella di tanti altri bambini.
La Pasqua dei poveri assomiglia a tanti giorni: la speranza che qualcosa cambi e la durezza di vicende, per tanto tempo, sempre uguali, la voglia di un lavoro, di una dignità sociale riconquistata e l’amarezza di vedere la montagna dei dubbi di un domani appesantito dall’incertezza.
Varese è una città solidale, altrimenti mancherebbe il pane quotidiano per tutti coloro che attendono dietro un cancello ogni sera, mancherebbe un letto nel rifugio degli Angeli alla stazione. Non bastano le urla, come in sede istituzionale nel consiglio comunale di giovedì scorso, che infieriscono contro le leggi governative sull’immigrazione, né è sufficiente la propaganda a “riprendersi in mano la città”. Non sono certo questi episodi a fermare la fiumana di solidarietà che a Varese non cessa, nonostante la crisi, nonostante i giudizi, spesso sommari e onnicomprensivi, lanciati attraverso i media contro chi arriva nelle nostre terre da paesi lontani. Giudizi che vorrebbero, in poche parole, ognuno a casa propria, quasi questa nostra città avesse al proprio interno chi possa vantare diritto di proprietà.
Quella dei poveri è la Pasqua che chiede a ciascuno equilibrata distanza umana dagli slogan, è quella che fa essere tante persone comuni capaci di gesti apparentemente marginali, come quello di rispondere all’ invito a portare alla mensa di via Luini un uovo di cioccolato per bimbi che forse di cioccolato non ne assaggeranno fino al prossimo anno. La Pasqua dei poveri è quella che chiede di non indire, proprio il giovedì della Coena Domini una manifestazione arroccando sulla paura il bisogno di sicurezza e alzando i toni della battaglia politica proprio nei giorni in cui sarebbe da rispettare il senso profondo dell’evento religioso centrale nell’intero anno liturgico, che fa risuonare parole di speranza contro ogni sopruso, di tolleranza contro ogni giudizio, di pace contro ogni distanza umana e sociale.
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