C’è uno strano legame tra due mondi apparentemente così distanti: quello dell’arte e quello della guerra, almeno riferendosi alla prima guerra mondiale. La ragione sta principalmente in quel tumultuoso fenomeno denominato “futurismo” che nei primi anni del secolo scorso propugnava un radicale rifiuto del passato ed il rinnovamento estetico di tutte le forme d’arte, schierandosi inevitabilmente a favore dell’intervento italiano nella guerra contro gli imperi centrali scoppiata nel 1914. Coerentemente, molti futuristi si arruolarono volontari, con in prima fila il loro leader, Filippo Marinetti mentre altri come Boccioni ed il comasco architetto Antonio Sant’Elia partirono ma non vi fecero più ritorno.
Mi sono ricordato di queste vicende visitando l’interessante mostra allestita presso la Galleria Ghiggini curata da Chiara Palumbo dal titolo “100 anni dalla Grande Guerra: Lodovico Pogliaghi illustratore, inviato speciale”. Occorre però subito precisare che il connubio tra arte e guerra si gioca in questo caso su un piano molto diverso rispetto all’esuberanza e – diciamo pure – all’incoscienza dei futuristi: Ludovico Pogliaghi, milanese ma ben noto a Varese per la dimora che costruì ed arricchì di opere d’arte al Sacro Monte, recentemente riaperta al pubblico, non partì volontario ma fu invitato, a quasi sessant’anni, sul fronte orientale dal Comando Supremo per documentare gli eventi più significativi delle operazioni belliche.
Il poliedrico artista, la cui opera maggiore resta la porta centrale del duomo di Milano (1906-1908), vi produsse una serie di schizzi e disegni dal vero che, con immediatezza da “inviato speciale”, documentano anche semplici momenti di vita del soldato in guerra, dalla distribuzione del rancio alla manutenzione di pali telegrafici passando dalle pose tronfie dei generali a cavallo all’umanissimo soldato morente.
Accanto a queste opere che denotano una grande sicurezza ed abilità tecnica, seppur erede dell’accademismo ottocentesco e lontanissima dalla spinta innovativa delle avanguardie artistiche a lui contemporanee, troviamo documentata in mostra la sua attività di illustratore avviata sin dal 1886 con la collaborazione alla rivista “L’illustrazione italiana” di cui fu direttore ed editore Emilio Treves. Qui il linguaggio si fa spesso allegorico con accenti retorici che ci possono far sorridere, come nella “Grande vigilia” pubblicata sul numero del 23 maggio 1915 (appunto il giorno prima della nostra entrata in guerra) dove le forze armate sono sovrastate da una enorme Italia turrita in trono armata di scudo sabaudo su uno sfondo di nubi grigie, presagio del dramma che sconvolgerà il mondo intero per oltre tre anni.
Ancor di più colpiscono, anche per le ampie dimensioni, due tavole monocrome commissionate nel 1917 con altre opere dalla FIAT allo scopo di pubblicizzare i “carri trattore” che ormai entravano nell’immaginario collettivo come emblema della “guerra moderna” accanto ad altra micidiale invenzione, la mitragliatrice prodotta anch’essa dalla FIAT. Le opere ebbero in verità, racconta Chiara Palumbo nel catalogo, un iter piuttosto travagliato, complice la pignoleria della FIAT che non trovava alcuni particolari dell’autocarro, così come riprodotti dal Pogliaghi, perfettamente aderenti al vero.
Comunque sia la FIAT alla fine si dimostrò soddisfatta e, dopo la vittoria del Piave, incaricò il nostro per una pubblicità ove raffigurare l’autocarro e la mitragliatrice “siccome gli strumenti più veri e maggiori della vittoria”. Di quest’opera non se ne è trovata traccia, per cui non ci resta che ammirare le tavole citate dove accanto ad un realismo fotografico che ricorda le tavole di un altro grande illustratore del tempo, Achille Beltrame per la Domenica del Corriere, ritroviamo la visione allegorica dell’Italia incombente accompagnata dalla Vittoria alata e da energica figura maschile, simbolo dell’ingegno FIAT.
Un accenno merita infine l’altra mostra allestita presso la Galleria Ghiggini “Stampe risorgimentali”: progetto realizzato in collaborazione con l’Associazione “Varese per l’Italia XXVI Maggio 1859” e Sergio Trippini, collezionista ed esperto di stampe antiche che offre l’opportunità, attraverso la riproduzione degli episodi risorgimentali varesini, in primis la battaglia del 26 maggio 1859, di scoprire non solo com’era la città di Varese all’epoca, ma anche di capire come sono stati artisticamente riproposti gli avvenimenti bellici del periodo a livello locale.
Entrambe le mostre sono visitabili presso la Galleria Ghiggini in via Albuzzi 17 a Varese sino all’11 aprile con orario: martedì-sabato 10-12.30 / 16-19
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