Una sepoltura “privilegiata”, internamente colorata di rosso per segnalare l’alto rango dei personaggi inumati, forse nobili, guerrieri o dignitari di corte: è una delle ipotesi che si fanno a proposito del loculo medievale contenente gli scheletri di due individui adulti, riportato alla luce nei locali annessi alla cripta del santuario di Santa Maria del Monte durante la campagna di scavi dell’inverno 2014. È presto per saperne di più. La Soprintendenza ai beni archeologici non ha ancora messo i resti a disposizione dell’Università dell’Insubria perché il laboratorio è impegnato con altre indagini importanti. Probabilmente si farà entro l’estate.
“Quando avremo a disposizione gli scheletri li sottoporremo ad analisi antropologica, fisica e paleopatologica come abbiamo già fatto per altri reperti della cripta di Santa Maria del Monte – spiega l’antropologa Marta Licata che conduce il laboratorio del dipartimento di biotecnologie e scienze della vita dell’università dell’Insubria – Nel 2001 fu scoperto un ossario comune e studiando l’accrescimento e la senescenza delle ossa definimmo l’età dei resti di un soggetto adulto maschile morto fra i trenta e i quarant’anni e di un bambino di non oltre sette anni con una grave frattura al perone. Si trattava di resti mummificati di seconda sepoltura, portati da altri luoghi e fu necessaria la collaborazione di un radiologo, il dottor Ugo Maspero”.
Degli scheletri contenuti nella “tomba rossa” si potranno accertare l’età alla morte, il sesso, la statura, la morfologia cranica, le patologie subite, la dieta abitualmente consumata e perfino le probabili attività lavorative svolte attraverso l’esame delle “inserzioni muscolari”. Nel stesso modo fu identificato il cosiddetto “cavaliere di Biumo”, un guerriero medievale d’alto rango, analizzando i resti di un individuo sepolto all’interno della chiesa dei santi Pietro e Paolo a Biumo Inferiore fra il decimo e il tredicesimo secolo.
“Era un uomo intorno alla sessantina, un’età importante per l’epoca in cui visse e di aspetto imponente, alto un metro e ottanta, con una lesione da fendente nella zona orbitale sinistra e un’altra da caduta dall’alto con danni gravi alla quarta vertebra. Probabilmente sopravvisse senza un occhio e con problemi motori, di certo era abituato all’uso delle armi e aveva una forma fisica diversa rispetto ai soggetti d’epoca medievale che abbiamo in laboratorio. Lo scheletro è ancora da noi e mi auguro che venga musealizzato perché sarebbe un peccato non farlo”.
Allo studio della dottoressa Licata c’è anche un giallo insoluto. Riguarda la strana scoperta fatta nel 2013 nella chiesa seicentesca del convento francescano di Azzio dove i corpi dei frati defunti erano deposti seduti e murati nelle nicchie della cripta con una ritualità funeraria singolare, frequente nell’Italia meridionale, eccezionale al Nord. Ebbene, adagiato in posizione anatomica sopra i resti ossei del seicento sepolti sotto il pavimento della navata, fu trovato lo scheletro di un uomo che non era un frate, molto più recente, forse un soldato cecoslovacco che cercò riparo al convento durante la Grande Guerra: un cadavere scomodo, da nascondere. Quale posto più sicuro dell’ossario di una cripta?
L’utilizzo di resti umani a scopo di studio pone problemi etici. “Non esistono leggi di riferimento – spiega l’antropologa – in America i pellerossa chiedono ai musei di restituire le spoglie dei loro antenati perché, dicono, con l’esposizione del cadavere si perde la sacralità dell’uomo; ma noi studiamo lo scheletro per rispondere a domande storico-scientifiche, in fondo proteggiamo e restituiamo un’identità all’individuo. Il problema viene dopo, che fine fanno questi resti? Mancano spazi e fondi per musealizzarli tutti. Si potrebbero tenere nei laboratori universitari per la didattica, oppure seppellirli al cimitero dopo averli studiati ma sarebbe una perdita per la ricerca scientifica, perché potrebbero essere ancora utili”.
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