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Politica

CITTÀ LABORATORIO

MANIGLIO BOTTI - 03/04/2015

Raimondo Fassa, sindaco “protoleghista” parla alla TV

Raimondo Fassa, sindaco “protoleghista” parla alla TV

In prossimità o in corso di consultazioni elettorali, una volta si diceva che la città di Varese fosse una specie di laboratorio: cioè quanto accadeva qui, o che qui veniva in qualche maniera sperimentato, si sarebbe poi ripercosso nell’intero territorio nazionale.

Pensiamo, andando un po’ indietro nel tempo, ad almeno due occasioni.

La prima alla tarda primavera del 1975 quando nelle elezioni amministrative il “blocco” dei partiti di sinistra con il testa il PCI stava per superare la Democrazia Cristiana e i partiti di centro. E in molti casi il superamento avvenne.

A Varese, dove la DC aveva sempre dominato fin dal primo dopoguerra, si adottò la scelta di un’“alleanza composta” (un patto di potere, insomma) con il Partito Socialista. La DC, che manteneva un suo sindaco al Comune, lasciava al PSI la presidenza della Provincia in cambio di cinque assessorati. Per alcuni fu una decisione “dolorosa”, perché la presidenza di Villa Recalcati rappresentava un’immagine importante del potere; ma secondo altri questo poteva essere meglio gestito con una forte e maggioritaria partecipazione in Giunta.

La seconda occasione che ci viene in mente, e nella quale il laboratorio politico di Varese destò l’interesse della stampa nazionale e internazionale, si registrò nel 1992, in piena epoca di Tangentopoli, quando i più importanti uomini della DC e del PSI (e qualcuno anche del PCI), dunque i protagonisti del “patto di ferro” di una ventina di anni prima, venivano decapitati dalle inchieste della magistratura. E fu proprio allora che più forte cominciò a soffiare il cosiddetto “vento del Nord”, quello della Lega tanto per intenderci, che aveva in Bossi e in Leoni a Varese e nello Speroni a Busto, i suoi antesignani artefici.

Quando il 13 dicembre del 1992, giorno di Santa Lucia, si tennero le elezioni comunali in una città devastata dal “terrore”, i Giardini Estensi pullulavano dei pulmini dei più svariati staff giornalistici e emittenti televisive: ce n’era anche una giapponese.

Le elezioni furono vinte dalla Lega e poche settimane dopo, nel gennaio del 1993, si insediò nel “palazzo del Granduca” il primo sindaco del Carroccio, quel Raimondo Fassa, erudito, un po’ piacione, cavato dal cilindro di Bossi & C., ma in realtà covato nella stia del professor Gianfranco Miglio. Un protololeghista, il Fassa, ma così distante anche culturalmente dagli altri che si sono via via succeduti a Palazzo.

A ventitré anni di distanza da quell’inizio qualche paragone e qualche bilancio si potrebbero anche azzardare. E non già con periodi storici di durata più che ventennale, perché il termine di comparazione sarebbe ingiusto, ma soprattutto per vedere se quelle esultanti aspettative così fortemente proclamate nella “città laboratorio” si sono poi avverate e confermate.

Le risposte sono scritte nella memoria di chi vuole ricordare e pensare e, oggi, si dispiegano sotto gli occhi di tutti. Così che, nel fiorire a Varese di movimenti politici trasversali dal carattere squisitamente civico – basta sfogliare i giornali e soprattutto scorrere sulla Rete per rendersene conto –, si è ancora una volta indotti a pensare alla “città laboratorio”, alla città dinamica che elabora in sé stessa anticorpi e geni di mutazione.

Il fenomeno si ripete? Non saprei dire.

Di questa vantata caratteristica, per esserne stato interprete e cronista nel passato, ho sempre avuto dubbi. Altro che laboratorio o futurismo politico. Varese in realtà non m’è parsa mai tanto diversa, nelle sue capacità di recupero, da altre città del centro o anche del sud d’Italia. Piuttosto quello che sta accadendo oggi sembra una legittima difesa; a furia di prendere schiaffoni anche i paciosi bosini, quelli più attenti ma in un certo senso meno coinvolti dal potere, si sono stancati. Non ne possono più. Non hanno più guance da porgere.

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