Perché Gesù è morto in croce? In questa Settimana, detta “Santa” per gli importanti riti pasquali che la caratterizzano, avremo modo di meditare e celebrare la morte di Cristo da cui ci venne la vita.
Gesù è entrato nella morte, perché là ci va ogni uomo. Egli ha voluto andare in croce per dare coraggio e speranza all’uomo che è in croce, a tutti quelli che subiscono accuse e persecuzioni e sopportano ingiustizie e violenze.
L’amore conosce molti doveri, il primo dei quali è “stare vicino” alla persona amata. Dio, dunque, sceglie di salire in croce e poi non si lascia tentare di scendere per essere come noi e stare con noi.
Proprio la croce, che noi adoriamo perché lì abbiamo visto appeso il Salvatore del mondo, è l’immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. “Per sapere chi sia Dio – ha affermato Karl Rahner – devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce”. Pietra angolare della fede cristiana è la cosa più bella del mondo: “un atto di amore”.
Quel sudare sangue prova l’orrore per il peccato umano, il disgusto per l’ingratitudine e la stoltezza umana, la nausea per il fango che trabocca nella storia degli uomini: e qui ci siamo anche noi, coi nostri peccati.
Perfido, poi, è il bacio di Giuda, che usa il linguaggio dell’amore per tradire l’Amore; al suo posto chiunque avrebbe reagito esprimendo almeno lo sdegno e la ripugnanza; Lui opera un capolavoro di bontà, rivelandosi ancora una volta come Amore al di là di ogni misura: il volto di Dio è tutta benevolenza, pazienza, mitezza, umiltà, fiducia…
La risposta di Dio alla cattiveria umana è il mistero della pietà, cioè è l’amore pronunciato dentro la storia con la nostra stessa carne; e diventa un fatto concreto che, dentro la storia, aggredisce il peccato con l’offerta del perdono. Dentro la storia di miseria e di iniquità di tutti gli uomini, Gesù colloca la potenza salvifica dell’amore di Dio: chi apre il cuore a questo amore è salvo!
Osserva acutamente Blaise Pascal: “Noi imploriamo la misericordia di Dio non perché ci lasci in pace nei nostri vizi, ma perché ce ne liberi”.
L’ultima parola sulla bocca di Gesù agonizzante: “Tutto è compiuto”, ha il compito di riassumere la sua vita. Questa dichiarazione si ricollega al fuoco d’amore che egli è venuto a portare nel mondo e che, sulla croce, raggiunge il vertice, la pienezza, appunto il pieno compimento.
Nel momento della morte di Gesù si è spaccata la corteccia del peccato che ha indurito il cuore degli uomini e l’amore è diventato possibile: inizia il dono dello Spirito Santo, la stagione della Chiesa, l’epoca dei santi e dei martiri, il tempo ultimo della storia. San Paolo dirà: “La grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini” (Rom 5,15): dalla sua morte la nostra vita!
La sua vita cambia anche la nostra: Dopo la morte e resurrezione di Cristo, il dolore dell’uomo non è più un dolore cieco, un dolore muto, demente, folle e disperato; bensì un dolore che conduce l’uomo nel grembo stesso della sua speranza; è quindi un dolore che conduce l’uomo a raggiungere il senso primo ed ultimo della sua vita. È dunque un dolore santo, un dolore, ecco…, “felice” (Giovanni Testori).
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