Poche persone come Alfredo Morbelli hanno conosciuto la nostra città, l’hanno amata e osservata in ogni momento, l’hanno sentita respirare e vista gioire e soffrire. Per chi non lo ricordasse, Morbelli, figlio del noto pittore divisionista Angelo, fu affermato fotografo e fotoreporter della Cronaca Prealpina dai primi anni Venti fino al ’41.
A Varese era arrivato subito dopo il rientro dall’Argentina, dove aveva lavorato come impiegato della ditta Pirelli. Ma aveva imparato da tempo a usare la macchina fotografica, essendo stato nominato, su incarico della Camera di Commercio ed Arte italiana di Buenos Aires, fotografo ufficiale della Missione italiana in terra argentina e anche della delegazione aeronautica italiana.
Invece di stabilirsi a Milano, dov’era nato nel 1884, il Morbelli scelse di aprire un negozio di fotografo in Varese, insieme con il socio Colombo, in via Vittorio Veneto al 9, di fianco al bar Leoni. Sopra al negozio fece casa con la moglie Nelia e con Rolando, figlio della prima compagna perita tragicamente in terra argentina. Nascerà qui nel ‘24 la seconda figlia, Maria Vittoria.
La passione per la fotografia lo portò a essere anche il reporter del quotidiano fondato nel 1888, e ancora allora diretto, da Giovanni Bagaini, col quale si era iniziata un’amicizia, destinata a durare nel tempo. Delle sue doti di fotografo si accorsero ben presto i varesini. Gli era stato maestro il padre Angelo, che dipingeva spesso guardando alle proprie istantanee e aveva trasmesso ad Alfredo anche le sue preziose apparecchiature. C’è anche una lettera autografa del figlio dall’Argentina a esprimere la gratitudine per quel dono che gli consente di ottenere risultati notevoli.
A Varese Alfredo ritrae ogni scorcio e monumento, soprattutto si fa testimone attento e costante delle mutazioni urbanistiche degli anni Trenta previste dal Morpurgo. Non ė raro incontrare, tra libri e pubblicazioni d’epoca, sue istantanee dedicate a vie e piazze, a inesplorati scorci di vecchie case, in parte abbattute o in parte sopravvissute negli angoli più segreti della città.
Reporter negli anni del regime, della quotidianità di quel tempo immortalò tutto, dalle miserie private agli eccentrici fasti della cronaca ufficiale: come parate straripanti e visite delle maggiori personalità. Venne anche il duce nel 1925, vennero, per l’inaugurazione in Piazza Venti Settembre del Monumento ai caduti del Butti, il re Vittorio Emanuele III nel 1923 e il principe Umberto, giovane e aitante. E poi ancora quest’ultimo nel 1926, ospite dei piccoli di Padre Beccaro e dei Litta Modignani, nella loro sontuosa dimora, oggi sede dei Musei civici.
Indimenticabili istantanee di Alfredo Morbelli, il cavalier Morbelli, hanno fissato, momento per momento, i cambiamenti architettonici della città, dalla nascita della Piazza Monte Grappa all’edificazione dei palazzi delle vie che dalla piazza si dipartono, come quelli dell’allora Banca Commerciale Italiana.
Che quella nuova piazza di ispirazione metafisica, non dissimile dalle silenti piazze di De Chirico, grande e lineare, gli piacesse almeno un po’, pare di capirlo da diverse foto che la riprendono da lontano. Ne proponiamo tre, una, particolarmente rivelatrice, è scattata dal bar che guarda dritto al palazzo di proprietà oggi della Camera di Commercio, e che allora era detto dei Fasci e delle Corporazioni. É evidente che la visione lo appaga, che gli piace l’eleganza sobria e pulita del corredo dei bar che offre accoglienza, sui lati della piazza, a chi cerca compagnia e ristoro tra i tavoli apparecchiati, come gli piacciono anche i rampicanti abbarbicati alle spalliere di giunco, le sedute in vimini e le chiome delle sinuose palme che segnano felicemente il perimetro dei caffè. Gli piace ancora la superba presenza delle prime, lussuose auto nere sotto la torre littoria, costruita dalla grandeur di regime per sfidare il bel campanile del Bernascone. Le immagini scattate ricorrendo al lampo del magnesio, impresse su lastre, ci riportano magicamente a quel tempo, al disegno essenziale di una piazza ancora vergine dagli oltraggi o dalle mutazioni estetiche che ne segneranno nel tempo la faccia: sgombra dagli eccessi attuali delle auto, dell’aiuola inutile che ospita l’abete, delle sedute in pietra volute dalla ristrutturazione di Marcello Morandini che circondano la fontana.
É insomma, la grande piazza Monte Grappa, il centro gravitazionale delle simpatie professionali dell’infaticabile cavalier Morbelli. Che diventa per lui, quando il tempo lo permette e i pensieri s’affacciano a fine giornata, uno spazio senza confini, un insostituibile pensatoio serale. Ritrae se stesso davanti alla magia della fontana illuminata, tra gli spruzzi allegri e il borbottio rasserenante dell’acqua: la robusta silhouette del cavaliere si staglia nella luce della fontana sul buio della notte, la pipa tra i denti, i calzoni alla zuava, lo sguardo sicuramente assorto di chi sta riflettendo, o sognando un domani migliore. Per il novello abitante del centro cittadino, la piazza nel cuore di Varese è insomma anche quotidiano luogo d’amore, di riflessione, di nostalgia.
Morbelli se ne andrà da Varese nel ‘42, afflitto dalla malattia e dalla depressione. Si ritirerà alla Colma di Rosignano Monferrato, nella quiete della villa paterna dove papà Angelo dipinse capolavori, e rientrerà in Varese, ma solo poco prima di morire, a metà degli anni Cinquanta.
Varese si identifica ancora con lui attraverso le sue foto di panorami indimenticabili, molti i premi che gli valsero le numerose medaglie d’oro, tutte donate alla Patria, con i riconoscimenti ufficiali. Ma soprattutto si ritrova nelle istantanee di quella piazza con la fontana dove batte il cuore di tutti i varesini, unanimemente ritenuta il salotto buono della città. La vorremmo vedere, ora che l’Expo bussa alle porte, non agghindata come una donzelletta che vien dalla campagna. Vorremmo semplicemente ammirarla nelle sua miglior veste, quella di una signora semplice, limpida di sguardo ed elegante nel portamento, degna dei migliori scatti dei Morbelli odierni – e ce ne sono tra i nostri fotografi. Ma anche oggetto dei più semplici selfie di chi si ritrova a proprio agio, tra la vista della grigia torre che si staglia imponente nell’azzurro del cielo e il bel campanile del Bernascone, il maestro tra gli architetti che hanno lavorato qui.
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