Certamente l’amico Claudio – appassionato di quel sapere e conoscenza che non ha potuto coltivare in gioventù – è un lettore molto attento.
Pensavo di “incassare” un numero rilevante di osservazione o critiche – specie da parte degli amici – al mio intervento (“La Misericordia del Signore”), pubblicato tra le “Lettere” del numero del 13 dicembre scorso, che toccava gli argomenti della indissolubilità del matrimonio e dell’Eucaristia ai divorziati. Forse non avevo usato parole che aprissero al dialogo; avevo però chiarito che esprimevo la mia opinione personale, da semplice peccatore.
Solo Claudio, dimostrando di aver colto la sostanza del problema, mi ha posto il quesito: “E perché, allora, le vedove possono risposarsi?”.
La domanda di Claudio mi consente di completare il mio pensiero, laddove avevo utilizzato – per semplificare il concetto dell’unione coniugale – un’immagine suggestiva, ma forse non perfettamente aderente: l’immagine della farina e del lievito che si fondono a formare un unico pane indissolubile.
Non voglio liquidare l’argomento citando semplicemente il versetto 30, capitolo 7, della 1° Lettera di S. Paolo ai Corinzi (ricordo che le Lettere degli Apostoli fanno parte della Bibbia, quindi sono Parola di Dio), in cui l’Apostolo autorevolmente afferma: “La moglie è vincolata, per tutto il tempo in cui vive, al marito; ma, se il marito muore, è libera di sposare chi vuole” (1° Lettera ai Corinzi, capitolo 7, versetto 30). Perché S. Paolo indica chiaramente anche (sempre nella 1° Lettera ai Corinzi, cap. 7, versetto 4) quale è il fondamento del vincolo coniugale e, conseguentemente, il motivo per cui la donna (il principio ovviamente vale anche per l’uomo), rimasta vedova, può risposarsi: “La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie”. Il corpo però è donato ad una persona viva; se la persona muore, il dono ritorna nella disponibilità di chi ha donato: non c’è più motivo che “il corpo” resti a disposizione di uno/una persona che non c’è più.
È evidente che, nella diversa ipotesi di separazione o divorzio, il “padrone” dell’altro corpo è sempre “in circolazione”; e, sotto il profilo cristiano, appare impensabile la sussistenza di una “comproprietà”.
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