Ci sono stati anni in cui il mitico Borducan era gremito di studenti, non solo in pomeriggi sulle “sudate carte” ma anche la mattina per qualche “bigiata” di gruppo. Tempi in cui il borgo sulla sommità del monte varesino faceva da spontanea cornice alla nascita di amori e la via delle cappelle era meta abituale nelle domeniche di svago per famiglie e amici. Intere generazioni possono dire di avere percorso la salita acciottolata un numero infinito di volte e di avere una spontanea familiarità con gli angoli dell’antico nucleo di S. Maria del Monte e il patrimonio artistico che lo impreziosisce. Tante sono state e sono inoltre le opportunità di conoscere le ricchezze artistiche e ambientali del luogo, attraverso esperti del territorio, associazioni, visite guidate. Splendide le iniziative culturali, teatrali, musicali organizzate nel borgo e costanti gli appuntamenti di carattere religioso che raccolgono fedeli di ogni età.
Ora la interessante proposta di affidare a un centinaio di studenti delle scuole superiori cittadine il ruolo di “ciceroni” del Sacro Monte, in occasione di EXPO, ha fatto spalancare tanto d’occhi e di bocca a chi ha letto la notizia che per buona parte di questi giovani quello che è l’emblema della nostra città, della intera provincia e che oltre dieci anni fa è stato elevato alla dignità artistica di “patrimonio dell’umanità” risulta in realtà essere “sconosciuto”: alcuni dei ragazzi coinvolti come guide, per loro candida ammissione, addirittura mai ci sono stati. Il mondo della scuola, attraverso il Dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale, ha subito avanzato la proposta di inserire nei percorsi formativi progetti dedicati al borgo e alle sue preziosità. Già perché la notizia ha suscitato lo stesso scalpore che avrebbe generato sentire dire da un bolognese di non avere mai visto le due torri o da un giovane torinese di non conoscere la Mole Antonelliana.
Ora, senza stracciarsi le vesti, diciamo che il dato sicuramente rattrista. Da un lato si corre ai ripari e dall’altro ci si domanda, nemmeno troppo retoricamente, quali altre bellezze della nostra città e provincia manchino all’appello dei luoghi noti, visitati e apprezzati dalle giovani generazioni: Castiglione “isola di Toscana in Lombardia”, il monastero di Santa Caterina o quello di Cairate, il Castello di Somma e quello di Masnago, i tanti musei d’arte, palafitticoli, della tradizione locale, le splendide ville e i parchi… così solo per citare.
Prima di colpevolizzare i ragazzi occorre comunque riflettere sul fatto che agli adulti è mancato il piacere di avviarli, fin da piccoli, all’apprezzamento del “bello” che c’è a portata di mano. Quasi ciò che sta attorno fosse poco degno di attenzione perché parte della quotidiana normalità. La stessa cultura del divertimento si è inabissata tra happy hour, sale giochi e chat e il perimetro del ritrovo tra coetanei è andato sempre più circoscrivendosi in spazi urbani e ristretti. E il senso di appartenenza a un territorio, per nascita o per residenza, si è sfilacciato perdendo consistenza e valore.
Occorre anche dirsi con chiarezza che c’è stata una buona dose di miopia collettiva nel non avere intercettato che a una fetta delle nuove generazioni è stato fatto mancare l’amore per il proprio territorio, ma ancor prima il gusto di guardarsi attorno, la curiosità per la storia e gli eventi, l’entusiasmo per quanto non ha ad ogni costo il sapore dell’esotico. Non sono serviti a noi, ormai adulti, altro che gesti di assoluta semplicità: genitori che, fin da bambini, ci hanno accompagnati la domenica nei luoghi artistici poco distanti da casa, amici che hanno condiviso la bellezza dello stare assieme unendo “utile e dulci”, una vita più semplice e meno ingabbiata nell’ansia di un SMS che non riceve risposta. Forse anche la passione per la tradizione, più che risolversi nel recupero forzato dei nomi di località in lingua dialettale, avrebbe richiesto di essere seminata in forme culturali di maggiore spessore e forse ancora, tra le tante opportunità create dai promotori culturali del territorio, si è poco cercato di comunicare con linguaggio e stile capaci di incontrare gli interessi dei più giovani. Se dunque EXPO chiama a compiere investimenti duraturi nel tempo, quello culturale e formativo è prioritario: da qui parta una attenzione diversa al rapporto che i nostri figli e studenti hanno con le “cose di casa loro” e da qui parta un nodo nuovo di parlare loro della bellezza, dell’arte e della natura.
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