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In Confidenza

PENITENZA UGUALE PENTIMENTO

Don ERMINIO VILLA - 06/03/2015

pentimento“Penitenza” è la traduzione italiana del termine greco “metànoia” – che significa “cambiare mentalità”, pensare in modo diverso, usare un altro metro di giudizio. Ma, secondo un’altra ipotesi, si può far derivare la parola dal termine greco “pentos” – che significa “pentimento” come assunzione delle proprie responsabilità, ammissione dei propri peccati.

Il “cuore contrito” di cui si parla nel salmo 50 non consiste in un dolore disperato e neppure in un senso di colpa psicologico; è invece la consapevolezza che i nostri peccati sono sempre un venir meno dell’amore. Pentimento/penitenza, allora, sarebbe il riconoscimento dei nostri peccati davanti a Dio e alla Chiesa, nella persona del ministro.

La quaresima ci aiuta a dare uno stile penitenziale al cammino comunitario, sia confessando tutti insieme le nostre colpe, sia compiendo, anche con gesti condivisi, opere di misericordia a beneficio dei più poveri.

Provocatoriamente il filosofo Nietzsche annotava al riguardo: “Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, non avreste bisogno di insistere così ostinatamente perché si creda all’autorità di questo libro: le vostre opere, le vostre azioni, dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia perché voi stessi dovreste costituire la Bibbia nuova”.

Molte parrocchie organizzano in questo tempo liturgico ‘forte’ varie celebrazioni comunitarie della Penitenza: anche in queste occasioni va valorizzato al massimo il buon annuncio del Vangelo di Cristo. Perché solo chi conosce la misericordia di Dio, ne apprezza il vero volto.

In questo ascolto/confronto sarà più facile per tutti riconoscere i propri punti deboli, che segnano la nostra distanza dalla Parola, e avvertire la gravità dei nostri peccati, cioè di pensieri, parole e gesti che contraddicono l’Amore divino.

Dobbiamo ammettere di avere anche noi preferito spesso le tenebre alla luce, di non aver bevuto alla sorgente della Parola di Dio, ma di esserci abbeverati a “cisterne screpolate” che non possono trattenere l’acqua, se non quella fangosa e inquinata (vedi Geremia 2,13).

Anche noi, moderni figli prodighi, abbiamo errato lontano, su piste sbagliate, che non conducevano all’oasi delle acque di Dio. Anche noi ci siamo incantati davanti alle seduzioni del piacere, del benessere, delle cose, evitando di accostarci al Signore, alla sua verità e purezza.

Ecco, allora, per la confessione, una bella invocazione del perdono, da fare nostra: “Onnipotente Signore, abbi pietà di me, non accusarmi. Abbi pietà di me se la notte amo più del giorno, se non bevo alla sorgente da cui sgorga la tua Parola, se il mio spirito, solo e impotente, errando, corre lontano da te; se crudeli immagini solcano i miei occhi, velando la tua vista; se io mi aggrappo alla terra; se ho paura di accostarmi a te, Signore. Spegni questo braciere, cambia il mio cuore. Signore, liberami dalle passioni e dal loro incantesimo, perché soltanto allora potrò venirti incontro e imboccare la porta stretta della salvezza” (Michail Lermontov).

La domanda fondamentale è la stessa contenuta nel ‘Miserere': “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo”. Solo così potremo affrontare la via che conduce alla “porta stretta” evangelica, al di là della quale si contempla l’aurora della salvezza!

 

 

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