Il declino della città di Varese è inconfutabile. Non è solo l’impressione di molti che ci vivono, lo dicono le statistiche. Non tanto per il settantesimo posto nella graduatoria della qualità della vita dei capoluoghi (queste classifiche suscitano qualche diffidenza) ma per altri preoccupanti numeri che mettono in luce un calo della popolazione, dei giovani, dei posti di lavoro privati, dell’imprenditorialità.
La vicinanza con Milano (e anche con Lugano), avrebbe potuto essere una forte potenzialità di crescita come lo era stata parecchi decenni fa. Varese ha invece perso competitività nei loro confronti senza reagire. Che benefici ha tratto da Malpensa, dalla grande fiera Rho Pero e come “sfrutterà” l’Expo? Le ricadute positive bisogna ricercarle, progettarle, causarle.
Per invertire la tendenza è necessario un cambio di amministrazione dopo più di vent’anni di Lega (l’alternanza è fattore indispensabile), così come un diverso progetto di comunità più ampio e comprensivo che conquisti il cuore dei cittadini. Mi soffermo su questo elemento (spesso riaffiora) stando lontano dal tecnicismo amministrativo.
Dal punto di vista fisico Varese è stretta fra la sua bella montagna e la sua valle con il lago, entrambi trascurati da una miope politica urbanistica. I paesi che la circondano gravitano sul capoluogo per abitudine e per comodità commerciale mentre i servizi di ampio raggio (ospedale, scuole, uffici pubblici) sono la risultante di situazioni storiche che poco hanno a che fare con la spinta dell’amministrazione cittadina.
Il limite di Varese è stato quello di chiudersi in sé stessa. Non di rado si è scontrata con le realtà limitrofe per le sue scelte urbanistiche da “città chiusa”. La sua visione strategica è stata asfittica. Contrastare il declino significa ripartire da qui allargando e rafforzando “l’unità urbana” di Varese e dintorni nell’interesse di tutti.
La mancanza più seria è quella di una visione d’insieme dei problemi e delle capacità di sviluppo che rispetti i singoli municipi ma che li faccia sentire appartenere ad una identità territoriale più ampia e coesa. L’obiettivo di medio-lungo termine potrebbe essere un unico “Piano di governo del territorio” che abbracci l’area interessata per progettare insieme le zone industriali, le attività produttive, i centri commerciali, la rete di banda larga, la gestione dei rifiuti, i servizi di sicurezza.
In termini più brevi serve un coordinamento reale e sostanziale dei “Piani” dei comuni coinvolti in questa operazione. È verosimile ipotizzare un’area superiore ai centomila abitanti ma la sua estensione dipenderà, oltre che dalla forza della gravitazione naturale sul capoluogo, dalle volontà che si muoveranno, dal consenso dal basso che questo progetto conseguirà.
Per altri capoluoghi tutto ciò è soprattutto un servizio alle comunità confinanti. Nel nostro caso è una necessità per Varese stessa e per la sua leadership ammaccata. La città può offrire molto in cambio. La chiave di volta sta nella sinergia fra ambiente, bellezze naturali e cultura che in questa terra suonano come sinonimi e che richiedono una strategia unificante. Dovrebbe essere questa la posta in palio delle elezioni cittadine del prossimo anno.
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