Per approfondire il concetto e poi il sacramento della “penitenza” seguiamo le profonde riflessioni di S. Antonio, cominciando dal significato della parola: “Penitenza suona quasi come ‘punientia‘, cioè punizione, perché l’uomo stesso si punisce per il male commesso” (Sermoni, 624).
Derivando il suo nome da “pena”, la penitenza è il modo in cui “l’anima si castiga nella sofferenza”. Bisogna purificarsi e riconciliarsi col Signore dopo che si è caduti in errore per una di queste cause: “la superbia del cuore, la concupiscenza del corpo, l’attaccamento alle cose del mondo” (Sermoni, 98).
Pur combattendo decisamente ogni forma di male, tuttavia il Santo nella sua predicazione non è ossessionato dai peccati, secondo una vena pessimistica, piuttosto diffusa nell’ambiente. Rimarca piuttosto, da buon francescano, che Dio è sommo Bene, “dal quale attinge bontà chiunque è buono e che, essendo il Bene essenziale, diffonde la sua bontà su tutto ciò che esiste” (Sermoni, 1181).
La confessione delle colpe è un “incontro di famiglia”, impregnato della misericordia di Dio. Con essa riconosciamo i nostri limiti, con umiltà e fiducia: con cuore contrito perché siamo tutti peccatori, avendo tradito la fiducia di Dio, ma anche con animo speranzoso, perché Cristo ha vinto il male e ci ha liberato dalla morte.
La grande risorsa è la preghiera, sia del singolo che di tutta la Chiesa, alla quale si affianca la grazia dello Spirito Santo, sempre pronto a soccorrere e sostenere chi si è perduto.
Nel sermone per la Quaresima, S. Antonio specifica questi tre atti.
La contrizione del cuore è la capacità di provare dolore per il male commesso. Da esperto in umanità, il santo raccomanda di non lasciare solo chi ha peccato e sottolinea l’importanza della comunità. A favorire i ripensamenti personali occorre che arrivi, sempre più forte e chiara, “la voce della predicazione, con il soffio della partecipazione fraterna e con la percussione della paterna correzione” (Sermoni, 370). Chi è davvero contrito sente profondamente l’amarezza del peccato commesso e fa il proposito di non ricaderci ancora in avvenire.
La confessione “fatta dalla bocca” (Sermoni, 123) va preceduta da un serio esame di coscienza. In questo modo avviene la rinascita: ecco perché questo sacramento è detto anche ‘un nuovo battesimo’ o “un ponte, che consente di passare dalla riva del peccato mortale a quella della rinnovata adesione a Dio” (Sermoni, 212). Se c’è contrizione ma non c’è confessione, si resta sulla riva del peccato. E come è facile perdere la memoria dei peccati commessi!
La soddisfazione avviene in tre modi: con la preghiera, l’elemosina e il digiuno; il primo nei confronti di Dio, il secondo verso i fratelli, il terzo verso se stessi. Bellissima l’immagine usata da S. Antonio per delineare la funzione del confessore: “egli è come l’ostetrica” (Sermoni, 283-284), nel senso che è la mano del Signore che estrae dal peccatore il serpente, cioè l’uomo vecchio. Il suo è un compito da svolgere con fede e discrezione, assicurandosi che il penitente sia disposto a pentirsi, desideri non ricadere nelle stesse colpe e voglia riparare il male fatto a Dio e al prossimo.
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