L’avventura spirituale di Thomas Merton è tra le più interessanti e significative del XX secolo, perché coinvolge la religione, la cultura, la politica. Merton nasce in Francia, a causa della prima guerra mondiale, il 31 gennaio 1915 da un padre neozelandese e da una madre statunitense, entrambi artisti. Inizia i suoi studi universitari di letteratura in Inghilterra, a Cambridge, ma deve abbandonare questa università, a causa della sua indisciplina, e li conclude alla Columbia University di New York. Di religione anglicana si converte al cattolicesimo, insegna per qualche anno nella “Saint Bonaventure Universiry” di Allegany gestita dai francescani e durante un ritiro presso l’abbazia trappista di “Nostra signora del Gethsemani” nel Kentucky comprende la bellezza della vita monastica, abbandona l’insegnamento, diventa postulante, e si dedica agli studi teologici.
Nel 1947 Thomas Merton pronuncia i voti definitivi, nel 1949 è ordinato sacerdote e diventa maestro dei novizi. Ma questa vocazione era germinata in Italia, quando nel 1933 aveva visitato Roma, ammirando la bellezza delle basiliche paleocristiane e come lui stesso scriverà “Di solito non mi inginocchiavo mai in quelle chiese e non prestavo attenzione alcuna, né formale né ufficiale, a Colui che possedeva quelle case. Ma quella volta presi l’acqua santa alla porta, andai dritto verso l’altare, m’inginocchiai e lentamente, con tutta la fede che avevo in me, recitai il Padre Nostro”. Allora il cammino era appena iniziato, una vita disordinata e la convinzione che solo il comunismo potesse salvare l’uomo faceva crescere tra le spine quel piccolo seme.
Diventato monaco si dedica alla preghiera e alla meditazione, riflette sulla sua esperienza religiosa e scrive numerosi libri che vengono tradotti in tutto il mondo. Le sue poesie sono raccolte in L’uomo nel mare diviso (1948); nel volume autobiografico La montagna delle sette balze (1949) ricostruisce il suo itinerario spirituale, nei saggi Semi di contemplazione (1949) e Ascesa alla Verità (1951) analizza il significato dell’esperienza monacale, che non è un rifiuto della vita sociale, come scrive anche in Nessun uomo è un’isola (1953), perché il monaco non deve estraniarsi dai problemi del mondo contemporaneo, per i quale deve pregare.
Alcuni libri sono di impegno sociale Gandhi e la non violenza (1965), Fede resistenza protesta (1969); Merton fiancheggia in America i movimenti per i diritti civili, è decisamente contrario alla guerra americana in Vietnam. Come il benedettino Jean Leclercq, anche Merton si impegna nel dialogo interreligioso, e cerca l’incontro con le tradizioni monastiche di altre tradizioni perché sa che il fondamento primo della spiritualità dell’uomo è la ricerca dell’Assoluto in qualsiasi situazione storica e sociale uno abbia a trovarsi. Infatti scrive “Ritengo che aprendosi al buddismo, all’induismo e alle grandi tradizioni asiatiche possiamo cogliere una meravigliosa opportunità per approfondire potenzialità delle nostre stesse tradizioni”. È l’atteggiamento di un dialogo interreligioso che anche Maritain sostiene in una comprensione fraterna, che non rinuncia alla propria identità ma riconosce i valori insiti nelle tradizioni altrui.
Merton nel 1968 si reca a Bangkok in Thailandia, per un incontro panasiatico, a cui erano stati invitati i rappresentanti dei monachesimi non cristiani e muore a causa delle ustioni provocate da una scarica elettrica dovuta a un corto circuito di un ventilatore. Leclercq, nel suo libro di ricordi scrive: “Ammettevo, come tutti, che Merton era morto fulminato. In seguito circolò una interpretazione diversa, secondo cui Merton sarebbe stato ucciso dalla CIA, come Martin Luher King e altri. Non vi diedi alcun credito. Ma ora, considerando tutte le circostanze e conoscendo altri fatti accaduti successivamente, una tale ipotesi non mi sembra più da escludere. Merton si era levato in molti suoi scritti contro la guerra in Vietnam”. (Di grazia in grazia, Memorie. Jaca Book, 1993 p. 151).
Quest’avventura spirituale, culturale e politica, troppo presto dimenticata, si intreccia con quella di Raissa e Jacques Maritain, che intrattengono con il trappista una lunga corrispondenza e nel loro libro Liturgia e contemplazione si richiamano più volte alle sue riflessioni per affermare che la contemplazione non è una via privilegiata, una via riservata a pochi, ma è possibile a tutti, qualunque sia la loro condizione sociale nel mondo e citano questo suo testo “Appena qualcuno è pienamente disposto ad essere solo con Dio, è solo con Dio, dovunque si trovi: in campagna, in monastero, nei boschi, in città”. Questa è la contemplazione per le strade, alla quale è chiamato ogni cristiano, se impara a raccogliersi in una solitudine interiore, anche nel mezzo della folla.
L’ultimo incontro di Maritain con Merton avviene nel settembre del 1966, è raccontato da John Griffin, che accompagnò il filosofo nella trappa del Kentucky, dove il monaco viveva in una baracca nel bosco. Il diario descrive quella visita, la vita trascorsa nella comunità, le messe mattutine, i pasti frugali, le discussioni teologiche. Sottolineo solo un passaggio curioso “Merton ci parla del suo lavoro; sta facendo uno studio su Bob Dylan. Ci ha spiegato, a Jacques e a me, che Dylan è una voce nuova, importante, un poeta e autore di canzoni”.
Anche tra Leclerq e Merton c’è stata una lunga corrispondenza, cito solo un frammento importante da una lettera di Merton “Ovviamente sono quello che sono, e il mio temperamento rimane sempre quello dello scrittore. Lo scrivere è profondamente radicato nella mia natura, e non posso illudermi che sarà molto facile rinunciarvi. Ma almeno potessi sottrarmi al pubblico e alla fama! Si tratta di due elementi non necessariamente connessi all’istinto dello scrivere. Ma tutto l’insieme tende a corrompere la purezza del proprio spirito di fede, oscura la chiarezza del proprio senso di Dio e delle cose divine, vizia il proprio senso della realtà spirituale, finché ci si immagina nell’atto di compiere qualcosa, si tende a diventare ricchi ai propri occhi. Invece, dobbiamo essere poveri e vivere soltanto di Dio, sia che scriviamo, sia che facciamo qualsiasi altra cosa. È giunta l’ora per me di immergermi più profondamente in quella povertà… Il concetto autentico della vita solitaria è quello di vivere in diretta dipendenza da Dio e nella costante contemplazione della nostra povertà e debolezza… È vero, bisogna procedere senza sostegni; bisogna imparare a camminare sull’acqua. E tuttavia mi piace credere che la Chiesa mi stia comunque sostenendo, e che io non stia deviando per una tangente del tutto personale” (11 agosto 1955).
Quando Maritain davanti alla crisi postconciliare, con il rischio deviazioni scrive Il contadino della Garonna per difendere le posizione del Concilio, sostenendo la necessità di una fede in dialogo con la ragione. Manda il suo lavoro a Merton, che gli risponde “Mi è particolarmente piaciuta la sezione sulla filosofia. Non mi ero mai reso conto, eppure è cosi ovvio, che la fenomenologia in generale non ha più il senso dell’essere. Stavo leggendo i fenomenologici. O meglio i filosofi da essi influenzati, come se l’avessero. Ciò naturalmente rende le cose più interessanti. Ma senza il senso dell’essere c’è solo il deserto” (18 novembre 1966).
E Jacques poco dopo gli risponde “Il successo de Il Contadino in Francia diventa un caso sociologico, testimonia l’inquietudine degli spiriti, Si è giunti al cinquantesimo migliaio, e presto si arriverà al sessantesimo. I grandi giornali non cattolici parlano del libro, cosa che dimostra che la presente inquietudine non riguarda solo la Chiesa ma il mondo della cultura in generale” (26 gennaio 1967).
Esperienze diverse, quella di un monaco trappista e quella di un laico sposato, ma che hanno in comune la ricerca di Dio, con l’intelligenza e con la fede, non separata dall’amore del prossimo nella concretezza delle vicende della storia.
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