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Società

OBBEDIRE? SÌ, PERÒ

MARGHERITA GIROMINI - 27/02/2015

Don Milani tra i suoi ragazzi a Barbiana

Don Milani tra i suoi ragazzi a Barbiana

‘L’obbedienza non è più una virtù’, il libro pamphlet di don Milani, compie cinquant’anni proprio in questo mese di febbraio.

Tanti ne sono trascorsi da quando rispose per lettera ai cappellani militari in congedo della Toscana che avevano accusato di viltà gli obiettori di coscienza. Era il 1965; in quegli anni gli obiettori erano solo alcune decine: per lo più anarchici, protestanti, testimoni di Geova, ma anche cattolici. Giovani che, per il rifiuto al servizio di leva, accettavano il carcere militare. La pena però non li assolveva dagli obblighi verso lo Stato. Una volta scarcerati, ricevevano un’altra cartolina; se la respingevano, venivano sottoposti a un nuovo processo. Alla fine del percorso, molti erano quelli che decidevano di concludere la vicenda accettando di essere riformati per motivi di salute, in una sorta di silenzio generale dell’opinione pubblica.

Don Milani era un prete rigoroso, un educatore appassionato e colto, in anticipo sui suoi tempi. Quando si inserì nella polemica sull’obiezione di coscienza al servizio di leva il suo contributo fu qualcosa di più dell’invito a una semplice posizione antimilitarista. Ogni cittadino – affermava – deve obbedienza alle leggi finché esse assomigliano alla legge di Dio. Diversamente, deve battersi per cambiarle, in modo democratico e nonviolento. Anche arrivando, se necessario, a trasgredire la norma, sapendo di poter pagare di persona.

Alla risposta ai cappellani militari aggiunse uno scritto ai giudici che sarebbero stati chiamati a vagliare la denuncia che fu avanzata a suo carico da parte di alcuni ex combattenti. Le sue posizioni, raccolte in un pamphlet, divennero il testo ribattezzato “L’obbedienza non è più una virtù”.

La visione profetica di don Milani consiste nell’affermazione del primato della libertà di coscienza, che include il rispetto per le leggi e insieme il coraggio di battersi contro quelle ingiuste. Con il voto, lo sciopero e – se necessario – con la disobbedienza.

Si dovette attendere la fine del 1972 perché anche in Italia si varasse una legge sul servizio civile. L’adesione alla causa degli obiettori costerà a don Milani incomprensioni, ostracismi e severe reprimende anche da parte della gerarchia ecclesiale. Si disse che aveva scritto l’intera opera non con la penna ma con il rasoio. Metafora più che giustificata.
Ai cappellani che bollano di “viltà” l’obiezione di coscienza, don Milani contrappone il concetto di “eroica coerenza cristiana”. Ai militari smonta la retorica dello straniero, del nemico: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. La parola Patria, secondo lui “è stata usata male molte volte”, è in realtà “una scusa per essere dispensati dal pensare”, dallo scegliere, quando occorre, tra la Patria e valori ben più alti.
L’obiezione di coscienza è lo spunto per un discorso più ampio che conduce all’impegno civile. Perché una vera capacità critica, che è l’opposto dell’obbedienza cieca, richiede scelte radicali accanto ai diseredati e ai poveri.

Il motto di don Milani, di lì a poco, divenne l’ – I care – dei campus americani dove ebbe inizio la contestazione studentesca. “I care”, “Mi importa”, fu scritto sui muri della scuola a tempo pieno di Barbiana. Perché, se l’obbedienza non è più una virtù, deve essere chiaro che ne consegue un altro, diverso obbligo, riassumibile nel “Ciascuno di noi è responsabile di tutto”. Ai giovani va spiegato, ieri come oggi, che noi tutti siamo sovrani. E l’obbedienza acritica è da ritenersi la più subdola delle tentazioni, perché può essere usata “come scudo davanti agli uomini e davanti a Dio”.

Il 15 febbraio 1966 don Milani è assolto “perché il fatto non costituisce reato”; i giudici nella sentenza sottolineano il vuoto legislativo sull’obiezione. Ma il ricorso dell’accusa ribalterà, due anni più tardi, il verdetto: cinque mesi al direttore del settimanale “Rinascita” che pubblicò la lettera, e per don Milani “reato estinto per morte del reo”.

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