Dino Azzalin, nato a Pontelongo (Padova) nel 1953, di professione medico dentista, è poeta e scrittore. Collabora con note testate giornalistiche ed è presente in diverse antologie. Vive a Varese.
Tra le sue più recenti opere ricordiamo Diario d’Africa (2008), Mani Padamadan (2007) edite da NEM e Prove di memoria ( Crocetti, 2006).
Azzalin è anche editore della NEM (Nuova Editrice Magenta), che alla fine degli anni Ottanta ha raccolto l’eredità della casa editrice varesina Magenta, fondata nel 1950 da Bruno Conti e Luciano Anceschi. Alla NEM si deve la pubblicazione di numerose opere, tra cui Una missione fortunata e altre storie, inedito di Guido Morselli, e la riproposizione in anastatica di Realismo e Fantasia. Dialoghi sempre di Guido Morselli.
È ancora grande e recente merito della NEM la riproposizione in anastatica di Quarta generazione, rassegna poetica sulla giovane poesia tra il 1945 e il 1954 curata da Piero Chiara e Luciano Erba nel 1954 per la Editrice Magenta e la pubblicazione dei carteggi tra Luciano Anceschi, Piero Chiara e Luciano Erba in Gli anni di Quarta Generazione. Esperienze vitali della poesia, a cura di Serena Contini, con prefazione di Giorgio Luzzi. Un bell’omaggio a un periodo d’oro della cultura varesina grazie al recupero intelligente di preziose pagine, altrimenti destinate all’oblio.
Con Dino Azzalin abbiamo parlato del suo impegno culturale. Ecco l’intervista.
Poesia e medicina: per te due vite parallele, due scelte che si sono incrociate a tratti e sempre supportate l’una con l’altra. Raccontaci qualche momento significativo di questa doppia e complementare faccia del tuo mestiere di vivere.
Verso la metà degli anni ’80, durante uno dei miei incontri bolognesi con Luciano Anceschi, cattedratico di Estetica dell’Università di Bologna, feci a lui la stessa domanda, e cioè se un medico o un dentista potevano essere anche dei buoni scrittori o poeti. E lui mi disse che il mestiere che uno fa è ininfluente, dipende da “come” lo fa. Dietro a un poeta o a un medico c’è sempre un uomo, basta quindi sapersi assicurare momenti di riflessione profonda sul senso delle cose che si fanno. E poi aggiunse che avevo dimenticato un “buon” dentista, e mi disse: potrà mai un buon medico diventare un cattivo poeta o il contrario? Profetica anche per la mia professione fu quella sua frase perché sottolineava l’importanza della qualità intesa come “modus operandi” quotidiano. Misi al distico del mio primo libro ‘I Disordini del ritmo’, una sua frase tratta daI ‘Verri’ del 1980: ‘La follia avrà le sue lucide conclusioni naturali o verrà rimossa con il fare bene quel che si fa’ (Consigli ai giovani letterati). Così mi sono applicato, il poeta ha aiutato il dentista e il dentista il poeta, senza alcuna crisi di identità.
Perché hai deciso di resuscitare l’editrice Magenta attraverso la NEM? Come andò?
Mah, anche qui è la storia di un giuramento a Bruno Conti e a Luciano Anceschi, fondatori e animatori della Editrice Magenta, che erano mancati proprio mentre stavamo lavorando all’idea. L’operazione era iniziata con un semplice ritrovamento alla fine degli anni settanta presso la cartolibreria Magenta, nella omonima via, di un opuscoletto preziosissimo che si chiamava ‘Linea Lombarda’. ‘Ma l’abbiamo editato noi!’ disse l’ometto rubicondo che ci stava affumicando con le sue micidiali nazionali semplici con filtro,con me c’era Mauro Maconi anche lui poeta con cui mi recavo spesso a fare degli acquisti che Conti quasi sempre ci negava, ‘geloso’ fino all’ossessione delle sue creature. Fumava senza sosta ad ogni nostro incontro, con un gatto nero che saltava da un libro all’altro sotto gli occhi vigili della sorella, ci parlava della simbologia poetica da cui derivò la collana ‘Oggetto e simbolo’. Non lo abbiamo più perso di vista: in quella piccola antologia di poeti c’era tutta la lombardità di poeti ‘laghisti’ come Vittorio Sereni, Luciano Erba, Renzo Modesti, Roberto Rebora, Giorgio Orelli, Nelo Risi, un vero e proprio tesoro.
Quali soddisfazioni ti ha dato l’attività di editore, e qual è l’opera prediletta uscita dalla tua casa editrice?
Più che editore mi ritengo un appassionato di libri. Editore è una parola grossa perché è qualcuno che trae dalla propria attività gli strumenti e i proventi del vivere. Certo è che ho imparato un altro bel mestiere, cercando di tenere alta la ‘qualità’ delle pubblicazioni così come Anceschi mi aveva insegnato. Per vivere faccio il medico-dentista, professione che amo perché mi ha permesso molte cose, anche quest’ultima esperienza. Quella di editare libri è la storia di una passione, e non ci sono opere predilette, ogni “creatura”, ogni libro che fai nascere è emozionante, e tutti, a modo loro, sono anche figli miei. Gli ultimi per esempio sono la riedizione anastatica di ‘Quarta generazione’, un’antologia di poeti che ha conosciuto grande successo negli anni ’50 con Pasolini, Zanzotto, la Merini, tanto per citarne qualcuno, e il carteggio curato da Serena Contini “Gli anni di Quarta Generazione” che ne ha impreziosito l’edizione. In questo caso l’Assessorato alla Cultura e il Comune di Varese sono stati supporter indispensabili per l’operazione che ha meritato l’attenzione della stampa nazionale. Il volume verrà presentato a Milano alla Biblioteca Sormani il prossimo 10 aprile.
I due poeti più amati e le due poesie preferite?
Beh che difficoltà questo duello. Certo Neruda è stata la mia folgorazione giovanile sulla via della Poesia e tutte le ‘Venti poesie d’amore e una canzone disperata’. E poi Sergej Esenin, il poeta contadino, e tutta la poesia russa. Le due poesie senz’altro sono ‘Sono andato segnando’ di Neruda e ‘L’ultimo viaggio’” di Esenin, che si gioca il pari merito con ‘La pioggia nel pineto’ di Gabriele d’Annunzio, poeta che non amo, ma a cui invidio questa poesia e non solo. Le so tutte e tre a memoria.
Il Premio Morselli è un’ altra iniziativa cui sei legato. Ti intriga più lo scrittore o il personaggio Morselli?
Ho amato subito sul finire degli anni ’70 ‘Dissipatio HG’, ed è stato un amore a prima vista, ho letto tutto Morselli a mano a mano che uscivano i suoi libri per Adelphi. La stessa avventura editoriale della NEM è legata a un inedito di Morselli, ‘Una missione fortunata’, il nostro primo libro. E questo grazie a Romano Oldrini, presidente del Premio Chiara. Le vicende umane di uno scrittore non dovrebbero mai influenzarne l’interesse e l’opera. Per Morselli purtroppo non è stato così e nell’immaginario collettivo è entrato più lo scrittore suicida che la grandezza della sua scrittura, una delle più lucide e colte del ‘900 italiano. Il Premio ha fatto passi da giganti, l’apertura della Casina Rosa di Gavirate è stata davvero una bella iniziativa del comitato (di cui faccio parte) o meglio di Linda Terziroli, vera anima del Premio Morselli. Ora dovrebbe essere “svecchiato”, rinnovandone i temi e i termini propositivi, altrimenti la mentalità provinciale e autoreferenziale lo potrebbe soffocare. Guido Morselli non lo merita. Ho sentito che, per problemi economici, oltre al Premio Chiara si potrebbe fermare anche il Morselli, sarebbe un vero peccato, ma ci vogliono anche nuove idee, non solo altri fondi.
Pensi che a Varese ci sia comunicazione tra operatori culturali o ritieni anche tu, come spesso si sente dire, che ciascuno coltivi il proprio orticello?
Se negli orticelli ci metti la qualità dei prodotti, potremmo pensare a un grande orto botanico, e sperare nel meglio dei frutti. Con Amordilibro una bella manifestazione culturale, organizzata negli anni ’90 dal Comune di Varese, ho invitato poeti da tutto il mondo. È stata una bella novità per la città e non solo. Purtroppo manca un progetto organico e continuativo che faccia diventare Varese capitale di ‘qualcosa culturalmente’. C’è invece molta mediocrità nella scelta della spesa pubblica che è quasi sempre low cost. La Cultura ha bisogno di una inversione di tendenza, ora che la crisi ha mostrato i lati deboli dei modelli del passato, bisognerebbe avere il coraggio di investire nella cultura, nell’arte, e nel paesaggio, di cui la provincia è ancora molto ricca. È la cultura che cambia gli uomini in meglio, non il denaro, ma bisogna spendersi sempre in prima persona e metterci la faccia. E se il mondo cambia anche noi dobbiamo cambiare con lui, ma tenere sempre la stessa faccia.
Quali sono i tuoi progetti di editore e i prossimi appuntamenti?
Mah, i tempi sono davvero molto duri, vorrei dedicarmi di più al mio lavoro di scrittore e di poeta, ho dato tanto alla comunità degli autori, e il “mestiere” di editore porta via molte energie, senza essere ripagato in eguale misura, e non parlo solo del lato economico. Certo il contatto con tante menti creative mi ha arricchito molto, offrendomi spunti e incontri di altissima letteratura. Pur non sentendomi vecchio, io credo che questo lavoro abbia bisogno di una nuova linfa vitale, un ricambio generazionale e un ammodernamento, sto “allevando” infatti un gruppo di giovani e non, che potrebbero prendere in mano questa preziosa eredità come un testimone, del resto l’ho fatto anch’ io con Bruno Conti più di vent’anni fa. Anzi se c’è qualcun altro che ha idee è il benvenuto, perché è una straordinaria esperienza, ma ha bisogno di essere rinnovata. Prima che sia troppo tardi…
Parliamo di Varese, non sei nato qui ma qui sei cresciuto e qui è il centro della tua vita familiare e professionale. Sei soddisfatto di quello che vedi e trovi in Varese o pensi si potrebbe e dovrebbe fare meglio, e che i cattivi voti attribuiti alla città da molte, autorevoli classifiche pubblicate dai giornali nazionali ce li siamo dati noi per primi, con le nostre mani e le nostre scelte sbagliate. Tu quali sogni coltivi per Varese?
Andrea Zanzotto, il mio grande maestro, veneto come me, diceva sempre che Varese gli ricordava le Prealpi di Pieve di Soligo, e ci veniva sempre volentieri. Da questa città ho avuto molto ed è anche per tale motivo che ho lavorato senza risparmi, sia culturalmente che professionalmente. Varese è stata generosa con la mia famiglia e gliene siamo stati sempre particolarmente grati, allora era tra le prime città in Italia e si viveva molto bene. La rovina di questa città sono state scelte politiche scellerate, operate nel corso degli anni da politici mediocri, con la connivenza di tutti, dove al posto di valorizzare un bosco, un prato, un parco, che è il patrimonio e la bellezza del contesto prealpino, volevano sempre costruirci dentro. C’è voluta la crisi per far capire di quale follia ci siamo macchiati. Intanto l’invenduto, il non abitato, i capannoni industriali abbandonati, che ora sono chiusi, hanno per sempre ferito il territorio. Mi piacerebbe che fosse invertito il valore dei terreni e non si consumasse più suolo da qui al 2050.
L’Africa è la terza delle tue passioni ed è anche un impegno professionale e umano che persegui da anni, passando le estati a curare quanti hanno bisogno di interventi che altrimenti non potrebbero mai permettersi. Per te è più una missione o la voglia di assecondare il mal d’Africa? E come ci sei arrivato la prima volta?
L’Africa è stata una vera e propria storia d’amore, da quando per la prima volta lungo le piste del Sahara, nel 1986, intravidi le sue prime seduzioni. Proprio durante un attraversamento del deserto mi sono reso conto delle necessità della mia professione, ho soccorso, ho prestato cure, ho tolto dei denti ai Tuareg, e questo se per loro ha significato molto, per me è stato l’inizio di una lunga esperienza di volontariato. Lavorare per i poveri è sempre stato molto gratificante, e non è una questione di fede, ma di impegno civile, di responsabilità sociale. E i veri affamati sono quelli che non chiedono mai. Ho visto morire bambini che con un antibiotico potevano essere salvati, ecco che cosa mi spinge laggiù. Ai primi di aprile parto per la Tanzania, visiterò tre ospedali i cui progetti saranno poi sostenuti dal gruppo di appoggio varesino del CUAMM, di cui sono presidente dal 2013.
Ho raccontato tutto nei miei diari e nei miei libri, ai quali ora sono state dedicate ben tre tesi di laurea e un dottorato di ricerca presso la cattedra di ‘Letteratura di viaggio’ all’Università Tor Vergata di Roma. Ringrazio molto questa gente che mi ha dato, in trent’anni di lavoro in Africa, molto di più di quel che ha ricevuto da me.
Per concludere la nostra chiacchierata, chi è in assoluto lo scrittore (del presente o del passato) che vorresti essere?
Che risposta difficile… sono tantissimi, ma alla fine vorrei solo essere me stesso.
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