Giorgio Polverini, docente dei filosofia al liceo Volta di Como, un giorno di primavera degli Anni ‘50 annunciò alla classe che uno dei suoi allievi aveva ottenuto dal massimo istituto italiano di araldica il riconoscimento del diritto allo stemma personale. Fermando l’alzata di braccia degli affezionati discepoli che evidentemente ne volevano sapere di più, il prof subito soddisfò la loro curiosità. “Lo stemma – disse – è molto semplice ma simboleggia con efficacia tante battaglie scolastiche: un libro chiuso in campo azzurro, azzurro come l’infinito del sapere. E a chi, se non al nostro Vedani poteva andare un simile riconoscimento?”.
In realtà il mio testardo, convinto rifiuto era rivolto solo ai testi di filosofia e matematica. E se addirittura gradivo quelli di altre materie, da qualche anno vivevo intensamente la scoperta di autori stranieri che il fascismo ci aveva impedito di conoscere. La mia generazione, quella degli odierni nonni, divorò montagne di libri che le erano stati negati dalla dittatura.
Nei giorni scorsi, riordinando la biblioteca di casa, ho trovato un libro mai aperto, di contenuto scientifico: subito si sono ripresentati alla memoria l’episodio dello stemma e gli anni delle travolgenti letture degli autori proibiti.
L’amarcord è diventato poi intrigante quando mi sono accorto che sotto l’intonso libro scientifico c’era una pubblicazione dedicata dalla Mondadori, nel 1983, a Piero Chiara per il suo settantesimo compleanno.
Ernest Hemingway, uno degli idoli letterari dei nostri anni giovani, ebbe in Italia una grande amica e traduttrice in Fernanda Pivano che sarebbe stata chiamata a far parte della prima giuria del Premio Chiara.
Partecipando io all’organizzazione del premio ebbi così modo, grazie alla pazienza di Nanda, di sapere di tutto e di più dello scrittore americano. Fu un’esperienza eccezionale che tenni tutta per me e alla quale faccio ricorso anche oggi rileggendo un romanzo o un racconto del formidabile collega americano. Hemingway era giornalista…
È anche per questo motivo che ricordo con simpatia l’avvio del Premio che fu un evento culturale rivoluzionario per Varese. Infatti la città, in genere abbastanza prudente davanti alle novità e magari anche davanti alle porte delle librerie, si lasciò coinvolgere nella riscoperta del mondo letterario, nel contatto con scrittori e personaggi della cultura, nel nuovo rapporto con i nostri librai.
Il tutto non in luoghi aulici e dai grandi scenari, ma nelle piazze, sotto i tendoni. La caratteristica e la novità del premio, dedicato a raccolte di racconti, il suo spessore e l’affidabilità che arrivavano dal prestigio dei letterati in giuria lo fecero vincente in campo nazionale.
L’iniziativa sarebbe potuta diventare nel tempo un grande riferimento per Varese, ma la sensibilità del primo sindaco leghista, Raimondo Fassa, non resse alla rozzezza dei fanatici della razza lombarda e si passò dalle immediate epurazioni degli scrittori meridionali alla imbecillità italica di potare, in caso di crisi finanziaria, subito gli investimenti culturali.
Palazzo Estense abbandonò il premio che, dopo lungo peregrinare e sconfinamenti in campi che nulla avevano a che fare con le sue primitive radici, oggi ha perso il finanziamento pubblico. Sembra debba emigrare nel Canton Ticino. Un’altra sconfitta per Varese che non può essere imputata a Roma ladrona e tantomeno alla nostra Provincia che, quasi azzerata nei poteri e nelle disponibilità finanziarie dai rottamatori, non poteva più permettersi altre erogazioni. In pratica le sue disponibilità odierne sono destinate alla sopravvivenza.
Ci sono premi letterari in Italia che sono più poveri rispetto al passato, ma hanno mantenuto la loro vera ricchezza, fatta di identità mai scalfita, di rispetto assoluto di valori culturali, storia e tradizioni degli uomini e dei territori per i quali furono istituiti.
Sarà questa l’era dei supermercati, ma è immutato il fascino d’antan dei librai, dei luoghi d’incontro, anche ammodernati, di chi guarda con amore sincero al pianeta letterario. E a chi lo alimenta con lo spirito e il rispetto che resistono al veloce trascorrere del tempo.
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