Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Stili di Vita

TRA DESIDERIO E BISOGNO

VALERIO CRUGNOLA - 13/02/2015

21st May 1938:  A woman holding a giant model of an ice cream coIl tema cruciale del desiderio in capitoletti. Qui tenterò di darne una definizione concettuale. Un secondo sarà dedicato a un sommario excursus storico per sottolineare i maggiori problemi individuati dalla tradizione filosofica occidentale in merito alla valutazione del desiderio. Nel terzo esaminerò le possibilità – rilevanti, anche se limitate – di sottoporlo a un controllo (o a un calcolo) della ragione. Nelle conclusioni, strettamente attinenti al senso di questa rubrica, affronterò i mutamenti del desiderio intervenuti nell’ultimo mezzo secolo, e suggerirò la necessità di sottrarsi a quella «economia politica del desiderio» che presiede l’orizzonte consumistico cui i più finiscono per sottomettersi.

Bisogni e desideri sono il motore della vita: non quella «primordiale», inattingibile e mitologica, bensì quella reale, storicamente riscontrabile e ricostruibile: una vita sufficientemente equipaggiata per la socialità, dotata di adeguate «protesi» organizzate per fare fronte agli uni e agli altri.

Il linguaggio corrente associa strettamente bisogno e desiderio, quasi avessero una natura complementare e un’origine comune. In realtà il nesso non è così stretto. Vi è una sola identità fondante tra bisogno e desiderio: tanto la «cosa» del bisogno quanto la «cosa» del desiderio siamo noi stessi. Bisogno e desiderio sono «miei», sono parte essenziale del mio essere, mi costituiscono, non si impossessano di me dall’esterno. Entrambi si rapportano al mondo come al proprio termine di appagamento. In questo senso, sia il bisogno sia il desiderio sono parimenti reali e parimenti efficaci. Ne viene che il desiderio non può essere trattato come un costrutto illusorio, una fuga in avanti dell’immaginario.

Oltre a ciò, di fatto essi condividono essenzialmente soltanto il piacere che deriva dal loro soddisfacimento. Mentre il bisogno si impone all’attenzione della volontà e tende a sopraffarla, la volontà cosciente – indispensabile per realizzare il desiderio – può sottrarsi al suo stimolo e respingerlo, tacitarlo, controllarlo senza esserne sopraffatta. Il bisogno è prettamente terrestre, il desiderio ci viene dal percepire l’assenza degli astri – de sideribus –. Il primo è conformato, il secondo è un estro. Il primo rinvia a una dipendenza che chiede di venire soppressa – almeno momentaneamente – perché si possa esercitare la nostra libertà; il secondo implica una libertà a priori che subordina a sé i nostri atti.

Gli esseri umani sono stretti nella catena del bisogno, sono mossi da necessità vitali, probabilmente di origine istintuale, che hanno a che fare con l’autoconservazione dell’individuo e la riproduzione della specie. Il bisogno nasce da uno stato di effettuale mancanza, è proiettato sul presente, non è creativo ma solo riproduttivo, ha un oggetto determinato e un carattere imperioso, acuto e insieme ripetitivo, impone i suoi dispositivi alla volizione, pretende soddisfazione in un arco temporale circoscritto, definibile con un elevato grado di approssimazione, è differibile in un arco temporale relativamente limitato e – soprattutto – esige un adeguato grado di organizzazione dell’esistenza collettiva perché possa venire assolto in modo conveniente e stabile.

In verità, converrebbe distinguere i bisogni in almeno quattro tipologie: 1) i bisogni primari, ritenuti dal senso comune naturali e immutabili, il cui soddisfacimento è indispensabile alla nostra sopravvivenza fisica e alla riproduzione biologica della specie; 2) i bisogni secondari, ritenuti di origine culturale e sociale, dal cui soddisfacimento dipende la qualità elementare della nostra esistenza nella vita societaria; 3) i bisogni indotti, che penetrano in noi da stimoli esterni ma che, nonostante la loro inessenzialità – in virtù della quale vengono spesso definiti «superflui» –, si impongono con forza alla nostra volizione, soprattutto per il loro rilievo identitario e simbolico; 4) le dipendenze, originate dalla ricerca esasperata di un presunto piacere, e mutatesi in bisogni resi atroci dall’assuefazione, al punto da devastare in noi la salute fisica, l’equilibrio psichico e la capacità di stringere libere relazioni sociali.

Il desiderio, al contrario, può non derivare da un concreto stato di mancanza, almeno nel senso che non risponde automaticamente a immediate necessità vitali, può essere vago nel suo oggetto e addirittura non voluto consapevolmente, è proiettivo verso il futuro, è differibile ed esige strategie progettuali ad hoc, non riducibili a dispositivi socialmente predefiniti. Nel caso dei bisogni «indotti», il confine con i desideri appare labile; ma la distinzione va mantenuta, perché i primi si volgono soprattutto a oggetti definiti, benché carichi di simbolicità – merci, cose, possessi di ordine materiale – mentre i secondi a tutta prima si presentano soprattutto come impalpabili, quasi eterei, non immediatamente reificabili.

Va detto che la distinzione tra bisogno e desiderio non è comunemente accolta. Marx, ad esempio, dopo aver notato che l’uomo è capacità immaginativa almeno tanto quanto è stomaco, scrisse: «Desiderio implica bisogno; è l’appetito della mente, naturale anch’esso come la fame per il corpo». Una via intermedia è data da Freud. Il fondatore della psicoanalisi fa dei bisogni, associati al piacere del soddisfacimento, il veicolo che conduce a cercare il piacere per se stesso (il lattante cerca il seno materno anche dopo essersi saziato). Tuttavia Freud introduce uno scarto incolmabile tra bisogno e domanda: il desiderio nasce al di là del puro piacere, non essendo come il secondo legato a oggetti reali, bensì piuttosto a «fantasmi», spesso metalinguistici.

A sua volta, il desiderio va distinto sia dai cosiddetti «sogni nel cassetto», tanto cari alle imperanti banalizzazioni e omologazioni lessicali, i quali sono piuttosto riconducibili ad aspirazioni, ambizioni o progetti aperti all’imponderabile, sia dalle «voglie» (o peggio «vogliuzze», con Nietzsche), che hanno – rispetto al desiderio così come al bisogno – un carattere spurio e frammentario, sia infine dagli obiettivi, dai fini che coscientemente ci proponiamo come realizzazione del nostro essere o come conseguimento di uno status migliore, più consono alle nostre capacità o semplicemente più idoneo ad allargare il nostro soddisfacimento di bisogni e desideri.

Come accennavo, rispetto al desiderio la volontà può disporsi in due modi: come accoglimento, con le conseguenti procedure che lo assecondano e che si dispongono a soddisfarlo cercando i mezzi e i passaggi più appropriati; o come negazione, come ripudio, con procedure di resistenza e di controllo. La duplicità della volizione discende dall’ambivalenza propria del desiderio: come slancio verso l’affermarsi positivo di una soddisfazione, nel quale elementi strettamente pulsionali si mescolano a pulsioni «sublimate»; e come zona di pericolo per l’Io, per la sua identità o integrità.

Di qui entra in gioco il tema della fallacia del desiderio. Mirando a qualcosa che è vissuto come pienamente congruente con se stesso, il desiderio si pretende veritiero; e tuttavia la sua soddisfazione nel corso del tempo può rivelarsi non congruente con noi, nociva anziché utile, erronea anziché buona, un asservimento anziché una liberazione, una contrazione di noi stessi anziché un’espansione. Talvolta un piacere tanto cercato si rivela futile, vano, insulso, deludente, non gratificante, spesso addirittura dannoso. Infine, il desiderio non si mostra, in se stesso, capace di disciplina e, soprattutto, di misura. Come discriminare i desideri, le loro fonti e i loro oggetti? Come evitarne la fallacia? Come posso stabilire la congruenza o l’incongruenza, la con-venienza o la non con-venienza (la capacità di accompagnare o di lasciare solo il mio Io) di questo o quel mio desiderio? Che è a dire: come posso stabilire se il mio Io desiderante è conforme, congruo e sodale nel cammino del mio Io quale si è venuto sin qui strutturando e manifestandosi alla coscienza memore del mio percorso? Vi è un principio che dia «ordine» al desiderio là dove esso – in conseguenza dei suoi effetti non valutati, o della sua prepotenza e smodatezza – può rivelarsi un elemento di «disordine» e di squilibrio?

La soluzione è stata normalmente indicata nella volontà. Solo la volontà sa seleziona i desideri, in base a svariati criteri (la liceità, il calcolo dei danni e dei benefici, la compatibilità con la nostra eticità o più semplicemente con la morale corrente, e via elencando), e si pone dunque come scelta, o più precisamente, appunto, come scelta dei criteri di selezione. Ma non è una risposta pienamente convincente. Su queste domande si è arrovellato per quasi tre millenni il pensiero filosofico occidentale.

(1 – continua)

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login