Mi è spesso tornato alla mente in questi giorni il bellissimo romanzo della mia amica scrittrice Amilca Ismael “Effimera libertà”, un lungo racconto – con prefazione di Massimo, figlio della indimenticata Laura Prati – sulla vicenda umana di una giovane ragazza africana illusa da sogni di libertà e poi avviata, come spesso accade, sulle strade della prostituzione. Una storia, quella narrata da Amilca, che poggia purtroppo solidamente sulla crudezza della realtà, fatta dello strapotere della tratta delle donne a danno del sogno di fuggire povertà e miseria. Una lotta impari contro la quale servono le armi della cultura e della civiltà.
Ed ho ripensato a quella splendida figura di donna che è suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, vissuta in Africa per quasi un quarto di secolo e da quindici anni impegnata a Roma come coordinatrice delle centinaia di religiose che silenziosamente e quotidianamente operano sulle strade, nei centri d’ascolto e nei luoghi di detenzione per il recupero di tante giovani donne costrette alla prostituzione. La voce di suor Eugenia era risuonata pacatamente forte in occasione della manifestazione “Se non ora quando” il 13 febbraio 2011 nella capitale. Una voce dalla quale migliaia di donne e uomini si erano sentiti rappresentati.
È invece di questi giorni la notizia che proprio Roma è decisa a cambiare volto e, da cuore della cultura occidentale e della cristianità, sceglie di diventare anche altro: ci riferiamo alla decisione del presidente del IX municipio della capitale di “eliminare la prostituzione dalle strade dell’Eur” istituendo ufficialmente, entro la prossima primavera, il primo quartiere a luci rosse. Si tratterebbe di un’area in cui raccogliere un centinaio di ragazze che oggi si prostituiscono nelle strade della zona. Prossimamente una riunione di giunta valuterà i termini del progetto proposto dalla circoscrizione romana. E pare che l’idea abbia già avuto l’avvallo di viceprefetto e assessori. Suonano male le dichiarazioni del presidente del IX municipio: “il progetto è uno strumento per battere il racket. Il fenomeno della prostituzione minorile, anche quella maschile, è fuori controllo. Con il nostro progetto, invece, potremo censire regolarmente le presenze in strada. Abbiamo già parlato con le prostitute e sono favorevoli all’idea. Molte ci hanno detto che con un’area ben delimitata e vigilata si sentirebbero più sicure”. Progetto che ha anche un costo di circa cinquemila euro al mese per retribuire le unità di strada, vale a dire camper con operatori formati e mediatori culturali, rappresentanti della ASL di zona e sanitari che effettuerebbero tre controlli alla settimana e che avvierebbero colloqui con le ragazze per comprendere la loro personale situazione. A questo si aggiungerebbero iniziative da portare nelle scuole del municipio per educare in merito al problema. In Italia prostituirsi non è reato ma sfruttare la prostituzione sì.
Da un lato quindi c’è un serio problema a livello giuridico che merita di essere preso in considerazione, se non altro per definire in quale rapporto si porrebbero gli amministratori nel momento in cui, per limitare un danno ne ammettano l’esercizio. Non sono un giurista ma, da cittadina, mi pongo laicamente la domanda.
La riflessione si allarga però ai dati: quasi il 40% delle centoventimila donne vittime di sfruttamento della prostituzione e di tratta degli esseri umani sono minorenni. Parliamo di chi è costretta a lavorare in strada ma anche di un folto numero di “donne invisibili” che fa capo al florido mercato degli annunci in rete. Almeno trentamila donne non si prostituiscono per scelta volontaria, come emerge dai dati Oim e da quelli della Caritas Migrantes, in quanto si tratta di deportate ogni anno sulle nostre strade e in locali trasformati in clandestini luoghi di ritrovo a carattere sessuale.
Le risposte non possono quindi giungere da una legittimazione del fenomeno che si traveste da operazione per garantire “il decoro” cittadino
Quello delle prostitute è infatti un dramma umano nella quasi totalità dei casi e va affrontato seriamente e consapevolmente alla radice, con un coraggio ben diverso dal semplicistico gesto di tracciare una linea di demarcazione, ghettizzante anche per chi vi abita e lavora, entro la quale consentire lo svolgimento del mestiere più antico del mondo.
Torno alle parole di Suor Eugenia, raccolte nel suo testo “Spezzare le catene” Lei, che ha collaborato con le forze di polizia per difendere e salvare giovani donne rapite e poi vendute, lei che ha nascosto prostitute nei conventi per salvarle dalla strada, lei che ha parlato all’ONU come esperta di traffico delle donne, lei che ha affrontato i soldati nigeriani in un posto di blocco offrendo rosari benedetti dal Papa, ha lanciato un appello a tutti, uomini e donne: “riprendiamoci una dignità calpestata dagli scandali, dalla volgarità dei media, dal traffico di esseri umani. La nostra società si sta impoverendo di giorno in giorno: salviamola, e salviamoci”.
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