Un dialogo con un collega giornalista sportivo mi ha portato a riflettere sul tema del tifo al PalaWhirlpool, tempio del basket varesino. Durante la recente partita, derby infuocato contro Cantù, fra i cori della curva uno ha infastidito il collega: ‘Basile, tu sei, un figlio di…’. Scrollando la testa, mi ha detto: “Perché prendersela anche con Basile? Un giocatore che tanto ha fatto per il basket italiano? Ci sono giocatori e giocatori…”. Come a dire: “A qualcuno stanno bene le male parole, non a tutti!”.
Spesso rifletto sulla ‘violenza’ verbale della curva, sui suoi eccessi, che senza arrivare a deprecabili e incivili episodi del passato, costituiscono comunque motivo di disappunto e di fastidio. Ciò mi capita soprattutto quando accompagno i miei giovani alunni ad assistere alle partite; loro restano affascinati da tanta vitalità e furore da tifoseria, ma mi domando: ‘E’ educativo tutto ciò? In veste di prof, faccio bene a mostrare simili spettacoli?’
Credo di sì, a conti fatti credo sia giusto, e comunque non così nocivo da impedire l’accesso al PalaWhirlpool da parte dei minori di quattordici anni. Due riflessioni.
Partiamo dal tipo di sport. Ci sono sport che alimentano giocoforza un tifo agitato, ed altri no. Durante una partita di tennis, una gara di pattinaggio artistico o di tiro con l’arco, di judo o di atletica leggera, non esistono curve ultras e tifo oltre le righe. Il basket invece è velocità, contatto fisico, forza, emozioni che si susseguono a raffica, arbitri che sbagliano. Insomma, il tipo di sport in qualche misura accende gli animi e può favorire gli eccessi. ‘La paglia vicino al fuoco brucia’ dicevano i vecchi, riferendosi però ad altra materia.
Il secondo ragionamento è questo: vogliamo tribune che siano lo specchio della società, diciamo più in generale dell’umanità, o asettici e selezionati parterre per gente dalle buone maniere, dall’applauso controllato, dalla parolaccia solo pensata? Il PalaWhirlpool è la vita, è la gente che si incontra, sono i diversi caratteri che si mischiano, la passionalità e la freddezza, la voglia di esagerare e la voglia di controllarsi sempre.
Gli eccessi vanno tenuti a bada, ovvio, e soprattutto va salvaguardata la salute di tutti, e mi pare che in questo campo progressi ve ne siano stati, la prevenzione si fa, la Società Pallacanestro Varese fa il suo dovere, il servizio d’ordine funziona, gli animi non travalicano il sopportabile. Ma la vita pulsa al PalaIgnis, e allora che ognuno possa esprimersi. Del resto i giocatori amano la curva perché il sostegno che gli ultras riversano sul campo in alcuni momenti è decisivo, perché la curva sa accendere entusiasmi sopiti anche in zone più quiete delle tribune, perché la curva è spontanea, la curva è vitale. Per questo piace ai giovani, che plaudono alle esagerazioni e s’annoiano della quiete.
E concludo: questo non è un elogio degli ultras, è il via libera alla pluralità delle manifestazioni d’entusiasmo e di sofferenza, di gioia e di dolore, di esaltazione e di delusione. Preferisco che il catino colorato di Masnago sia polifonico: tutto qui.
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