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Società

SE IL “GHISA” DIVENTA UN BUROCRATE

CESARE CHIERICATI - 13/02/2015

vigile“Malmostosi, svogliati, sovente inurbani, tesi a difendere i privilegi acquisiti”, così negli anni novanta Indro Montanelli definiva i vigili urbani di Milano, i più famosi d’Italia. Di sicuro il grande Indro esagerava ma estremizzando coglieva il ripiegamento sostanzialmente impiegatizio delle categoria un tempo vissuta dalla gente come un punto stabile di riferimento in tema di sicurezza e governo del traffico cittadino.

Chi ha un apprezzabile numero di decenni sulle spalle non può non ricordare come, nella quasi totale assenza di semafori (anni ‘40-’50), gli incroci fossero governati dai “ghisa”, uno sul “tulùn” in mezzo all’incrocio stesso, l’altro sul marciapiedi pronto a dargli man forte e ad alternarsi con lui. Facevano dunque parte integrante del paesaggio urbano ed erano pure un sicuro deterrente per “ladri e male intenzionati” come scrivevano le cronache del tempo.

Non solo. “ Arriva il vigile” o peggio ancora “chiamo il vigile” era l’arma dissuasiva finale cui ricorrevano portinaie ma anche mamme spazientite dagli eccessi di vivacità di ragazzi e ragazzine quando in gruppo o se si preferisce “in banda” facevano troppo chiasso pomeridiano nel cortile di un palazzo, giocavano al pallone minacciando vetri e vetrate, violavano i prati erbosi dei giardini pubblici, oppure rumoreggiavano sulle balaustre dei bianchi tram di allora o sui primi bus che li sostituirono. Era come se dal cielo scendesse improvvisa una pioggia di camomilla che sedava nell’immediato gli ardori di tutti quanti perché in effetti i vigili in circolazione erano davvero tanti in una Varese assai più piccola e meno complicata di quella odierna.

Nei decenni successivi, col rapido mutare della società, anche i vigili cambiarono fisionomia e funzioni. In effetti oggi assolvono una miriade di compiti, provo ad elencarne alcuni: gestione dei verbali, ufficio protocollo, gestione dei ricorsi a preture, tribunali, prefetture, gestione del traffico (quasi unicamente in caso di incidenti), controlli nel campo dei consumi alimentari, esecuzione in prima battuta dei t.s.o., il trattamento sanitario obbligatorio. In definitiva un ripiegamento burocratico che ha finito per provocare una mutazione profonda nel DNA originario delle polizie locali e un progressivo distacco dalla popolazione. Come non ricordare invece il rituale ossequio collettivo alla vigilanza urbana nell’annuale ricorrenza della “Befana dei Vigili”. Allora il Comando era a Palazzo Estense e nel cortiletto interno cresceva nell’arco delle giornata la catasta dei regali: panettoni, veneziane, bottiglie di spumante, scatole di cioccolatini, torroni, cesti di frutta e quant’altro. Sui doni vigilavano due “ghisa” scelti tra i più aitanti e decorativi. Preistoria civile, oggi francamente inimmaginabile.

Alcuni anni fa il Secolo XIX, il quotidiano di Genova, svolse sul tema un sondaggio dal quale venne alla luce un dato eloquente: il 30% degli intervistati sottolineò infatti che quando servono i vigili non ci sono mai. Sarebbe interessante riproporre il sondaggio a Varese, a Busto Arsizio e a Gallarate per sondare gli umori prealpini su una categoria messa spesso in discussione. Nella consapevolezza però che una migliore convivenza urbana e il decoro complessivo della città dovrebbero ancor oggi passare attraverso un recupero intelligente della presenza dei vigili, dato e non concesso che il presidio del territorio sia ancora al vertice delle priorità del corpo.

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