Questa settimana Varese celebra un santo tutto “suo”: Sant’Imerio di Bosto, oggetto, come il suo compagno Gemolo di Ganna, di un culto strettamente locale, ma antichissimo e molto sentito. Tantissime le iniziative, sia religiose che culturali, scandite durante tutta la settimana dal 31 gennaio all’8 febbraio.
Imerio per la verità era uno straniero, come tanti altri santi venerati nel nostro territorio, a partire dall’africano Vittore. Era un viaggiatore proveniente dal nord Europa, forse tedesco, forse polacco, che attraversando le Alpi intorno all’anno mille al seguito di un vescovo diretto a Roma, ebbe la ventura di essere aggredito dai briganti durante il passaggio obbligato alla Valganna.
Goffredo da Bussero, alla fine del Duecento, racconta i fatti in questo modo: “Mentre si recava a Roma e si accampava nei prati della Val Marchirolo, nel territorio di Arcisate, un Vescovo d’oltralpe, temendo i ladri, diede ordine a suo nipote di rimanere di guardia. Quand’ecco che, durante la notte, tre ladri, originari di Uboldo, rubarono il cavallo del Vescovo e scapparono. Allora Gemolo, il nipote del Vescovo, insieme ad un suo compagno li inseguì a cavallo e li trovò dove adesso si trova la sorgente di San Gemolo e li pregò, in nome di Dio, di restituire quanto avevano rubato. Quello dei banditi che era chiamato Il Rosso disse: “Vuoi forse tu essere decapitato in nome di Cristo?” Il beato Gemolo rispose che volentieri si sarebbe fatto uccidere per il nome di Gesù Cristo. Allora il Rosso lo decapitò mentre i suoi compari ferirono a morte il compagno del beato Gemolo il cui corpo ora giace nella chiesa di San Michele vicino a Varese”.
Il compagno del beato Gemolo era appunto il nostro Imerio, e la chiesa di San Michele dove venne sepolto era quella di Bosto che ora porta il suo nome. Chiesetta dalla storia complessa e avvincente, che è stata rievocata domenica scorsa in una conferenza di Renzo Talamona e Pino Terziroli.
Al suo interno si trovano le uniche due rappresentazioni conosciute di Imerio. La più antica è un rilievo sul sarcofago medievale in cui sono state custodite le sue reliquie e che adesso sostiene la mensa dell’altare. È un’opera abbastanza rozza, forse non finita, visto che molte parti sono rimaste grezze. Vi sono rappresentati i due Santi, con lunghe tuniche abbottonate e il bastone da pellegrino in mano, sotto archeggiature trilobate che permettono di datare il manufatto all’epoca gotica. Gemolo e Imerio sono molto simili tra di loro, forse a sottolinearne la uguale condizione di compagni d’armi e di martiri, ma tradizionalmente si ritiene che Imerio sia quello raffigurato sul lato più corto.
Ben diversa è la qualità della figura di Imerio nella predella del polittico che Francesco de’ Tatti dipinse nel 1517 per la nostra chiesetta. Il polittico di Bosto, una delle maggiori opere rinascimentali presenti in città, venne venduto nell’Ottocento e si trova attualmente al Castello Sforzesco di Milano. Qui non c’è alcun dubbio sull’identificazione, assicurata non solo dal pugnale confitto nel petto, ma anche dalla scritta appesa al bastone da pellegrino. Come già nel sarcofago è questo l’aspetto della vita di Imerio, e non quello di uomo d’armi, che viene sottolineato da tutti i dettagli dell’immagine, a partire dall’abbigliamento, con la veste corta per rendere più agevole il passo, gli stivali, la mantella per ripararsi dalle intemperie. C’è poi Il largo cappello a cui è fissata la conchiglia di San Giacomo, ancor oggi emblema del pellegrinaggio a Compostela. La spilla con le chiavi incrociate sulla mantellina – le chiavi di San Pietro – era invece contrassegno dei Romei, i pellegrini che si recavano a Roma.
Proprio per questo la festa di Domenica 8 febbraio sarà contraddistinta dalla Marcia del Pellegrino, in partenza alle 10 dal Monte Bernasco, diretta alla chiesa di Sant’Imerio per la Messa solenne delle 11,30.
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