Con il Qe quantitative easing la Bce “crea denaro” e lo usa per acquistare principalmente titoli di Stato. L’acquisto viene fatto unicamente sul mercato secondario. Quanti soldi? Il Qe sarà di 60 miliardi di euro al mese, almeno fino a settembre 2016 (ovvero 1.140 miliardi in 19 mesi) con la possibilità di proseguire anche oltre, in particolare fino a quando l’inflazione non risalirà a sufficienza.
Le garanzie – La Bce compra titoli di Stato dei diversi paesi europei, che cosa accade in caso uno stato non ripaghi il debito? È stato previsto che il 20% del rischio sia a carico della Bce, mentre l’80% verrà condiviso dalle Banche centrali dei singoli Paesi europei.
Quali titoli – La Bce comprerà titoli di tutti i Paesi dell’area euro, in proporzione alla quota che ogni banca centrale ha nel capitale della Bce. Ogni Banca nazionale ha una certa quota del capitale della Bce, e gli acquisti verranno fatti in proporzione a questa quota.
Gli obiettivi che si spera di ottenere con il Qe sono essenzialmente di due tipi. Il primo è un calo del rendimento dei titoli, il secondo un deprezzamento dell’euro.
Se la Bce interviene comprando questi titoli di Stato, a parte la maggior facilità a piazzarli, l’aumento della domanda farà aumentare il prezzo e calare gli interessi. Ciò significa poter spostare delle risorse dal pagamento degli interessi a investimenti. Inoltre il calo degli interessi farà spostare le disponibilità delle banche dall’investimento in titoli di stato a maggiori risorse per il mondo produttivo. Il deprezzamento dell’euro è il secondo grande obiettivo. Più euro che circolano a parità di beni e servizi significa che i soldi tendono a “valere meno”. È la definizione di inflazione. La Bce tende a un’inflazione del 2%, mentre oggi buona parte dell’Ue si trova in deflazione.
Con il Qe l’euro dovrebbe scendere (in particolare rispetto al dollaro, ma anche rispetto alle altre principali valute), il che dovrebbe portare diversi Paesi che adottano la moneta unica ad aumentare l’export, con ricadute positive sui conti pubblici.
Ma col Qe ci sono solo vantaggi? Non proprio, sia perché alcuni dei vantaggi esposti hanno anche delle ricadute negative, sia perché non è detto che gli effetti siano quelli sperati.
Aumento del credito erogato. Siamo sicuri che le banche erogheranno più credito, trasferendo i soldi del Qe a famiglie e imprese? Il problema attuale, per molti Paesi tra cui l’Italia, è un altro: le banche hanno delle sofferenze sempre più alte (le sofferenze sono la percentuale di prestiti erogati che non vengono restituiti, e in Italia siamo ormai intorno al 10%), questo porta le banche a non fidarsi dei clienti e chiudere i rubinetti del credito, il che aumenta le difficoltà delle imprese, e quindi le sofferenze, in una spirale che si auto-alimenta
C’è un altro enorme dubbio sulle capacità del Qe di rilanciare l’economia europea: la libertà di movimento dei capitali. La Bce immette liquidità in Europa, ma quale garanzia c’è che tali capitali rimangano nell’economia del vecchio continente? Di fatto buona parte della liquidità immessa dalla Banca centrale giapponese con il suo Qe si è riversata sui mercati finanziari internazionali, nelle economie emergenti e in operazioni speculative. Perché questa volta dovrebbe essere diverso?
Il secondo obiettivo legato al calo dei rendimenti è quello di fare scendere lo spread, in particolare per i Paesi in difficoltà della periferia europea. È vero che una banca centrale che si impegna ad acquistare titoli di Stato dovrebbe tenere a freno le pulsioni speculative dei mercati, ma è altrettanto vero che l’acquisto pro-quota dei titoli dei vari Paesi europei significa che di fatto la Bce acquisterà molti titoli tedeschi, che hanno tassi già oggi negativi, e molti meno di Paesi quali Portogallo o Grecia, che ne avrebbero maggiormente bisogno.
Proprio il Paese ellenico è quello che suscita le preoccupazioni maggiori. Draghi ha già chiarito che la Bce potrà acquistare anche titoli di Paesi con un rating pessimo, ma unicamente se il Paese accetta un programma di assistenza della Troika. L’attuale programma di assistenza scade a fine febbraio. L’annuncio suona più come un commissariamento che non come un aiuto.
Il secondo macro-obiettivo, il deprezzamento dell’euro, dovrebbe portare come detto ad aumentare le esportazioni. Con tutti i limiti indicati in precedenza sull’efficacia economica, se anche funzionasse, questo si tradurrebbe di fatto nell’esportare i nostri problemi. Nei giorni scorsi lo sganciamento del franco svizzero dall’euro (legato proprio all’imminente Qe e all’impossibilità per la Banca svizzera di continuare a difendere un cambio a 1,2 con l’euro) ha portato a un aumento repentino del franco il Qe si traduce di fatto in una gara alla svalutazione competitiva, secondo una politica indicata come “frega il vicino”. È su queste basi che si intende rilanciare l’economia europea?
La questione del “frega il vicino” si iscrive in un quadro più ampio, che è quello di una competitività esasperata. È una vera e propria corsa verso il fondo, sia tra Paesi europei sia tra Ue e resto del mondo. Una corsa a smantellare i diritti del lavoro, a ridurre le tutele ambientali e sociali, a inseguire tassazioni sempre più basse sulle imprese. In questo senso il Qe potrebbe ridursi di fatto a un’ulteriore arma in questa gara: una corsa verso il fondo anche in materia monetaria.
Alla Ue servirebbe un piano di investimenti. Purtroppo quello che è stato spacciato come un grande piano da 320 miliardi (il “piano Juncker”) sembra poco più di una scatola vuota, in cui i miliardi sono una ventina e il resto dovrebbe metterlo il privato
In ultimo, ma è forse l’elemento più importante, il Qe e più in generale l’insieme delle politiche europee partono dall’assunto che alla base della crisi ci sia un problema di finanza pubblica, “dimenticandosi” come sia la finanza privata ad averci trascinato nella situazione attuale. Una finanza ipertrofica e fuori controllo che è stata salvata solo pochi anni fa con migliaia di miliardi, socializzando le perdite dopo avere privatizzato i profitti. Per chiudere questo casinò finanziario privato poco o nulla è stato fatto in questi anni. Si parte però da una diagnosi completamente sbagliata – il pubblico è il problema, il privato è la soluzione – per proporre una cura altrettanto sbagliata – austerità per Stati e cittadini che hanno subito la crisi, liquidità illimitata per la finanza che l’ha provocata.
Il problema di fondo che sembra non volere essere affrontato: l’elemento centrale di questa crisi non è dovuto al fatto che non ci sono soldi, ma che ce ne sono troppi. E che sono (quasi) tutti dalla parte sbagliata. È un problema di diseguaglianze e di strapotere della finanza privata
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