Dopo aver espresso alcune considerazioni di metodo a proposito del piano di riqualificazione di Piazza della Repubblica sembra ora opportuno iniziare ad entrare nel merito delle più importanti questioni.
Partendo da un dato di fatto: la città, Varese ed il suo vasto hinterland, aspira ad avere un suo nuovo vero teatro. Dove realizzarlo, finora non sono uscite proposte alternative ad una collocazione in Piazza della Repubblica. Tre le possibili soluzioni: (a) nell’area della Caserma Garibaldi (o abbattendola oppure entro le sue mura); (b) sul sedime dove attualmente opera il provvisorio Teatro Apollonio; (c) sulla superficie dell’ex Collegio S.Ambrogio occupato dall’Università, ora in trasferimento a Bizzozero. Tutte aree di proprietà pubblica, Comune e Provincia di Varese. Parlare di nuovo Teatro non vuol solo dire pensare alla collocazione, ma contestualmente alle risorse necessarie per realizzarlo. Entità significative, valori monetari impossibili se caricati sulle spalle di un solo ente pubblico e comunque difficili da sostenere anche da una collaborazione tra più enti (Comune, Provincia, Regione). La ricerca di provviste finanziarie private è sempre apparsa una strada da percorrere. Cedere o concedere in uso prolungato dei beni pubblici inutilizzati per trasformarli in un altro bene, il teatro, di patrimonio pubblico è sempre parso obiettivo da perseguire. Come?
Il Sindaco e la Giunta di Varese per lungo tempo (e l’avvocato Fontana lo ha ancora recentemente riconfermato) hanno pensato ad un teatro costruito nella Caserma più o meno rasa al suolo. Soluzione funzionale a mettere tutta l’area dell’attuale teatro tenda a disposizione di capitali privati per ricavarne buona parte delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione di quello nuovo. Questa operazione, resasi assai problematica per le note ragioni, è stata scartata dal piano di riqualificazione. della piazza. Cassata la collocazione nella caserma Garibaldi, rimanevano le alternative: teatro dove sta l’attuale posticcio o teatro nelle aree dell’ex Sant’Ambrogio. La proposta di privilegiare l’area attuale a livello della Piazza è apparsa la più praticabile.
A questo punto, come già accennato in una nostra precedente nota, rimaneva unicamente l’area a mezza collina del Sant’ Ambrogio da destinare al recupero di apporti finanziari. La delicatezza di ogni intervento in questo comparto è facilmente intuibile, dal momento che comporta la completa demolizione di quanto resta dei fabbricati dell’ex collegio oltre alla scelta oculata delle funzioni. Un’operazione, quella delle demolizioni, già avviata quasi clandestinamente dalla passata conduzione leghista della Provincia e propiziata dalla altrettanta decisione autonoma dell’Università di andarsene altrove. Qui l’abbattimento della chiesa che fa da sfondo al lato alto dell’attuale Piazza Repubblica è la cosa che suscita le maggiori perplessità. Si tratta di un fatto di una certa rilevanza estetica, avendo la chiesa sconsacrata perso ormai la sua precipua funzione. Di costruzione assai recente e di modesto valore artistico, rappresenta tuttavia un legame affettivo per i più attempati varesini e un dettame culturale per quegli urbanisti che sostengono le stratificazioni temporali delle nostre città da non manomettere in assoluto. Un elemento, questo della demolizione, tale da compromettere la realizzazione di tutto l’interessante piano di riqualificazione? E’ sperabile di no.
Il discorso va dunque portato sui volumi degli edifici da erigere e sulle funzioni da assegnare. Vediamo i numeri. Il PGT, da pochi mesi approvato in Consiglio Comunale dalla maggioranza Lega-destre varie, nell’area dell’ex Sant’Ambrogio prevede e consente il futuro sviluppo di 27.500 mq. di SLP (superficie libera di pavimento). Oggi la superficie colà costruita e da demolire risulta attorno a 13.500 mq. Quella prevista dal cosiddetto masterplan sarà inferiore: 12.500 mq. Cifre confermate dai volumi dei fabbricati previsti di circa 40.000 metri cubi assai inferiori al totale degli attuali. Se quindi parlare di cementificazione ha scarso fondamento, il discorso va rivolto alle destinazioni di questi volumi, alla collocazione dei fabbricati, ai loro accessi dalla viabilità pubblica. Nel comparto dovrebbero trasferirsi gli Uffici dell’ASL, ora ubicati a Bizzozero, lasciando quegli spazi all’Università decisa a riunire in un solo luogo le proprie funzioni didattiche, amministrative e di Rettorato.
Scelta assurda? Forse non sono di questo parere i cittadini utenti di quelle prestazioni sanitarie oggi relegate nella scomoda periferica Via Ottorino Rossi. Nel comparto dovrebbero pure realizzarsi una sala convegni di 300 posti a sedere ed un corpo di fabbrica da destinare a residenze od uffici direzionali. Grosso modo l’equivalente di una ottantina di ampi appartamenti. Questo, che pure è l’aspetto più lucroso ed appetibile per capitali privati, diventa motivo di non poche perplessità. Una di esse è sicuramente rappresentata dal timore, non infondato, di richiamare ulteriore traffico automobilistico in una zona già congestionata. Un fatto certamente da chiarire realizzando in Via Ravasi e in via Bizzozero degli accessi che facilitino al massimo entrate ed uscite degli automezzi. Però ci chiediamo se vada considerato immutabile, eterno, l’asse di transito veicolare Masnago-Bizzozero che transita lungo Piazza Repubblica. Oppure che altrettanto immutabile, per ulteriori 100 anni sia il tracciato dei mezzi pubblici di trasporto cittadino (ieri tram, oggi autobus) tutti costretti a passare da Piazza Monte Grappa.
Sembra comunque il caso che vengano moltiplicati gli sforzi per contribuire alla migliore soluzione del problema “trasformazione dell’ex collegio”. Da qui bisogna passare con rigore ma con senso realistico. Chiudere la porta con sufficienza significherebbe non parlare più di un nuovo teatro per la città e della sistemazione di una piazza maledetta. Sarebbe un ulteriore treno perso dalla nostra Varese. Ormai uno tra i tanti.
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