“Tengo famiglia”. Per Leo Longanesi era il motto da scrivere sul Tricolore, il più adatto a sostituire lo stemma sabaudo. Superate la prima e la seconda repubblica, ora che con Renzi stiamo inaugurando la terza in concomitanza con l’elezione di Sergio Mattarella quale nuovo presidente-arbitro al posto dell’interventista Giorgio Napolitano, non si può dire che l’icastica definizione longanesiana del costume italico abbia perso di attualità.
Non soltanto per il comportamento del Nuovo Centro Destra di Alfano, che ha smentito Roberto Calderoli sui tempi della retromarcia rispetto al – presunto – diktat di Renzi sul nome da votare per la carica di capo dello stato: non quattro, cinque minuti di resistenza, ma ben tre ore prima di passare dalla decisione di votare scheda bianca a quella di convergere su Mattarella, onde restare ministro dell’Interno. E nemmeno per i vari segmenti centristi e di centrodestra autonomista – da Mario Mauro a quelli di GAL e così via – che hanno voluto contrassegnare la loro partecipazione al rito del voto con svariate fantasiose precisazioni sul nome del vincitore, sul cui carro ambivano salire: da “S.Mattarella” a “Sergio Mattarella” a “On.S.Mattarella” a “Mattarella Sergio”, e via poetizzando. Piuttosto, per tutto quanto è connesso alla reazione sorprendentemente emotiva di Berlusconi, Brunetta, Romani, Gasparri, Toti, Daniela Santanchè e altre (Biancofiore, Bernini, Gelmini, Repetti…), più varia compagnia di Forza Italia, tutti sponsorizzati dai quotidiani Libero, Giornale e Tempo, così furiosi, afflitti e sconfortati sul “tradimento” di Renzi.
Ma come? Renzi aveva promesso la “condivisione” del percorso di nascita del nuovo presidente della repubblica, regalo tanto atteso dai “forzitalioti” disposti in cambio a “cedere” il proprio “onore” (politico) con l’accettazione del premio di lista, anziché di coalizione, nella nuova legge elettorale.
No, dicono, non è tanto per il “nome” di Mattarella, ma per il “metodo” di sceglierlo prima con il Partito democratico e solo dopo sottoporlo a Forz’Italia. Insopportabile, tanto quanto a Natale fare il pranzo con la moglie e solo nei rimasugli della festa dare soddisfazione all’amante, nelle briciole di tempo.
Sì, ma – esattamente – siamo in Italia, proprio Forza Italia non se n’è accorta? Non vi sembra ovvio che un “buon cattolico italiano” come Matteo Renzi, messo alle strette tra moglie e amante, scelga la casta unità con la moglie – ossia la tenuta di un Partito democratico sin qui frantumato – piuttosto che la lussuriosa tentazione dell’amante – ossia le lusinghe costituzionali per nuovo Senato e nuova riforma delle autonomie regionali? O magari si preferiscono i regimi poligamici dei paesi arabi?
Fuor di metafora: come potevano Berlusconi e Forz’Italia pretendere che il premier-segretario PD privilegiasse nelle scelte per il Quirinale i rapporti all’esterno del partito rispetto a quelli interni? Tenuto conto che è il PD, e non Forz’Italia, il partito di maggioranza in Parlamento, com’è immaginabile che non tocchi a questo partito elaborare la candidatura per la presidenza della repubblica?
È palese che Berlusconi-Forz’Italia non ha preso sul serio il percorso di Renzi: stante il principio condiviso di un presidente della repubblica di garanzia super partes, consultare tutte le forze politiche anche d’opposizione per acquisirne le indicazioni preferenziali di profilo, testandone anche – presumibilmente – non solo le preferenze sui nomi, ma anche e soprattutto le esclusioni, in modo da non proporre candidati che palesemente riscontrassero ostilità.
La Destra riteneva che il “metodo” fosse solo una vetrina, che in realtà si trattasse di occultare uno scambio d’affarismo politico: io ti concedo la clausola maggioritaria di lista nella legge elettorale e tu mi dai in cambio quel che più mi interessa, la scelta sostanziale del nome del nuovo presidente della repubblica. Cioè, qualcuno idoneo a concedere la fumosa “agibilità politica” al Silvio condannato per frode fiscale (come se non l’avesse già con soli altri due mesi di compagnia, quattro ore la settimana, ai vecchietti di Cesano Boscone), cioè la famosa “grazia”. Qualcuno che nella promulgazione delle norme di legge chiuda un occhio con arzigogoli giuridici sulle “manine” (renziane) che inseriscono clausole di non punibilità per reati fiscali di valore inferiore al 3% dell’imponibile, applicabile anche all’ex Cavaliere. Qualcuno che non storca il naso di fronte a decreti “milleproroghe” tra cui la proroga alle frequenze impropriamente utilizzate dalle tv di Mediaset. Qualcuno, chissà, col profilo così internazionale da arrivare alla Corte europea di Strasburgo per sostenere la causa (improbabile) dell’illegittimità della legge Severino laddove accerta gli effetti amministrativi di non eleggibilità a cariche pubbliche per i condannati a pene consistenti. Qualcuno che, magari, con la sua sottigliezza dottorale potrebbe obiettare o esercitare “moral suasion” su eventuali misure fiscali dannose per i grandi monopoli…
Pare che Berlusconi e i suoi fossero convinti che Renzi avrebbe proposto ufficialmente il nome di Giuliano Amato, il famoso “dottor sottile” dal grande profilo internazionale, e che gliel’avesse promesso quando ha concordato le ultime modifiche alla nuova legge elettorale, che con il premio di lista anziché di coalizione costringe chi vuol vincere a unificarsi in modo organico e stabile, per attuare programmi omogenei finalizzati alla propria interpretazione politica dell’interesse generale, e non solo in modo momentaneo e opportunistico per affastellare interessi lobbistici e di parte.
Eccolo il famoso-fumoso “tradimento di metodo”: un “tradimento” di sostanza, un machiavello fiorentino che avrebbe “fregato” il Grande Negoziatore brianzolo, l’esuberante Utilizzatore Finale (parole dell’avvocato Ghedini), che ha sempre “fregato” tutte e tutti, da Ruby Rubacuori a Massimo D’Alema (un altro ottimo candidato di preferenza berlusconian-forzitaliota per la poltrona del Quirinale). Ben venga Machiavelli se, con la scelta renziana di Mattarella, in quanto non considerato ostile anche se non preferito dalla Destra, serve a ridare fisiologia al meccanismo istituzionale di dialettica tra maggioranza e opposizione.
Invece, Berlusconi-Forz’Italia s’erano convinti che Renzi volesse davvero “divorziare” dal PD con la famosa-fumosa storia del “partito della nazione”, emersa dopo il risultato inaspettatamente trionfale delle elezioni europee di maggio 2014: per loro, puntare al PD come nuovo “partito della nazione” più omogeneamente renziano doveva significare la spallata a tutta la minoranza tradizionalmente socialdemocratica del Partito democratico – da Letta a Bersani a Bindi a Civati – affinché emigrasse verso Sel per trasformarsi in sinistra radicale e ridursi a nulla.
Non credendo alla collocazione politica di Renzi a sinistra e stereotipandolo come neo-liberista mascherato, erede di Berlusconi nella sua anomalia arrogante e giocosa, il “royal baby” con cui malignamente lo incorona Giuliano Ferrara nel suo ultimo libello, la Destra forzitaliota grida al “tradimento” quando la sua pretesa cade. E grida di più il suo capo, ormai stanco, che pensava di potersi riposare avendo trovato nel “royal baby” il suo continuatore, più bravo di lui solo nel mascherarsi di sinistra, come al Berlusca non era mai riuscito.
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