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In Confidenza

ALTRI TEMPI, ALTRI COSTUMI

Don ERMINIO VILLA - 30/01/2015

in ginocchioCredo che sia interessante per molti raccontare, almeno una volta, le trasformazioni che il sacramento della Penitenza ha subito nei secoli.

Nella Chiesa delle origini non c’è traccia di riti penitenziali: le conversioni avvenivano in età adulta e dopo matura riflessione; perciò bastava il Battesimo a rimettere i peccati e ad introdurre nella Chiesa.

Ma la comunità cristiana sperimentò presto la propria fragilità e la necessità del perdono oltre il battesimo. Peccati particolarmente gravi come l’omicidio, l’adulterio e il rinnegamento pubblico della fede (specie nelle persecuzioni) erano motivo di scandalo ed escludevano dalla comunità cristiana. Se e come riammettere coloro che, pentiti, volevano rientrare?

Inizialmente si usò la linea del rigore: i penitenti dovevano fare pubblica penitenza con lunghi digiuni, vestiti dimessi, preghiere continue. Solo dopo aver espiato avveniva la riconciliazione alla fine della Quaresima con l’imposizione delle mani del vescovo; e si tornava a ricevere l’Eucaristia.

Tale processo di purificazione era limitato ad una sola volta nella vita: questo fatto, unito alla gravosità della penitenza, portò molti a ricevere la confessione una sola volta in vita, …in punto di morte.

Più avanti, a partire da alcuni monasteri irlandesi e anglosassoni, si cominciò a concedere più volte la riconciliazione. L’iter penitenziale – fatto di digiuno, preghiera e carità – divenne privato e meno gravoso: bastava un prete e non più il vescovo, non si espiavano più i peccati pubblicamente e si poteva ripetere il sacramento tante volte quante erano le ricadute.

Ma ogni peccato era un debito verso Dio, che andava pagato secondo un prezzo o una tariffa stabilita; così fu introdotto il trattamento uniformato dei penitenti, per evitare disparità tra le pene, che potevano consistere in mortificazioni corporali, digiuni, pellegrinaggi, rinuncia ad alcuni cibi… Solo dopo si consideravano riconciliati con Dio e con i fratelli.

Dopo l’anno 1000 l’attenzione fu concentrata sull’atto della confessione e sull’assoluzione del sacerdote. In precedenza queste erano le fasi intermedie di un lungo processo dove era in primo piano la penitenza. Ora la dichiarazione dei propri peccati al confessore assunse carattere penitenziale per l’umiliazione che comportava e il dichiarare apertamente la propria colpa fu considerato segno di conversione. L’assoluzione era immediata e la penitenza ne era il seguito e non la condizione per ottenerla. L’assoluzione data dal ministro diventò così l’atto specifico sacramentale.

Nel 1215 il IV Concilio Lateranense rese obbligatoria la confessione una volta all’anno per tutti i cristiani macchiatisi di peccato grave. Questa forma di confessione fu gradatamente adottata da tutta la Chiesa e nelle sue linee essenziali permane anche oggi: il penitente riconosce il suo peccato, lo manifesta al sacerdote e ne riceve il perdono e l’imposizione di una penitenza di riparazione.

Il rituale attuale prevede molti e diversi modi con cui il popolo di Dio fa penitenza e si converte: prendendo parte con la sopportazione delle sue prove, alle sofferenze di Cristo, compiendo opere di misericordia e di carità e intensificando, di giorno in giorno, l’impegno di vivere secondo il Vangelo. Nel sacramento i fedeli ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa.

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