La mozione passata mediaticamente come “antiburqa” è approdata in consiglio comunale meno di una settimana prima della discussione in Consiglio regionale della legge che si propone di vietare la costituzione sul suolo lombardo di luoghi di culto delle religioni che non hanno patti di intesa con il nostro Stato. Negli stessi giorni si celebra la memoria della tragedia della Shoah, macabro esempio di intolleranza razziale e religiosa. Un paradosso culturale che lascia sgomenti. Reso ancor più glaciale dal volere trovare giustificazioni che si arroccano sulla diffusione della paura del diverso, culturalmente e religiosamente, così facilmente seminabile.
Sulla mozione discussa a Palazzo Estense si era ampiamente parlato, attraverso i media e i social, allorché tempo fa questa venne depositata e presentata dal proponente con chiari riferimenti all’impedimento alla circolazione in città di donne interamente velate. Allora avevo lanciato una sfida al consigliere forzista primo firmatario, invitandolo a camminare con la sottoscritta e altre donne varesine per le strade di centro e periferie per contare quanti burqa avremmo incontrato. Noi donne siamo state di parola, abbiamo girato in lungo e in largo la città e di burqa non ne abbiamo visto nemmeno uno. Mentre c’era chi si sbizzarriva a spergiurare di averne visti addirittura tantissimi. Un po’ di onestà intellettuale permette fortunatamente di prendere la giusta misura della situazione.
Dire che la mozione fosse e sia quindi pretestuosa e politicamente guidata mi pare il minimo. Che non si debba andare nei luoghi pubblici col volto integralmente coperto da caschi o copricapi di alcun genere che impediscano il riconoscimento delle persone è già legge dello Stato. Doverne discutere anche nel consiglio comunale di una città di provincia pare assolutamente fuori luogo perché, se non erro, Varese è in Italia e ribadire il concetto potrebbe solo fare pensare eventualmente il contrario. Se per ogni legge nazionale dovessimo riproporre la versione in salsa bosina, faremmo un consiglio comunale permanete. Allora è stato tirato in ballo l’aspetto “preventivo”. Ma prevenire da cosa? Si previene un male, un pericolo. Si è aggiunto che la proposta fosse dettata da questioni di sicurezza: e anche in questo caso da cosa mai ci si deve difendere? Pare di capire, dopo i tragici fatti di Parigi e la successiva individuazione in alcune città italiane di presunti jihadisti, che il fondamentalismo fosse in realtà nascosto nelle pieghe della quotidianità, assumendo il volto normale e bene in vista di studenti modello, lavoratori regolari e vicini di casa insospettabili.
La corrispondenza burqa/terrore è infondata, stando ai fatti. Lo è ancor di più impedire ogni pratica religiosa per cui non siano previste intese con lo stato italiano. A parte il fatto che il “pugno” di Papa Francesco, così chiaro nella sua esemplificazione e capito anche dai bambini, pare abbia bisogno dei sottotitoli per arrivare alle orecchie dei consiglieri regionali di maggioranza. Ma il ricordo va al gennaio di sei anni fa, quando l’allora Arcivescovo di Milano Tettamanzi era arrivato in città per il tradizionale incontro con gli amministratori. L’ecumenico Cardinale aveva tempo prima concesso lo svolgimento della preghiera islamica in piazza del Duomo. Apriti cielo! Ad accoglierlo lungo la via Marzorati uno schieramento di cartelli ed epiteti dei Giovani Padani che lo apostrofavano “Arcivescovo di Kabul” e gli ricordavano che “ Milano è ambrosiana e non musulmana”, arrivando persino allo sfottò che “col cardinale ogni scherzo vale”. C’era anche qualche giovane amministratore nel gruppo. E giusto per scomodare ancora una volta la religione cattolica anche il povero Sant’Antonio della Motta è stato utilizzato per la difesa ad oltranza delle “cose di casa nostra” fin da quando era stata preannunciata la presenza sempre dei giovani “verdevestiti” a distribuire bigliettini antimusulmani da infilare nella tradizionale catasta di legna.
La verità è che certe parti politiche stanno cavalcano la semplicistica e inaccettabile traduzione “musulmano = paura”, “musulmano = nemico”. E i primi a ribellarci dovremmo essere proprio noi italiani e figli della democratica cultura dell’occidente che vediamo calpestare la dignità della libertà di pensiero e di espressione conquistate in questi secoli contro ogni forma di oscurantismo e dittatura. I primi a ribellarci dovremmo essere noi cattolici che accettiamo che valori e principi di fraternità, ascolto ed apertura siano messi all’angolo da riduttive escalation di intolleranza. “Nessuna nuova moschea a Varese e non si sa nemmeno se quella che c’è resterà aperta”: questo il Clericipensiero di pochi giorni fa. Ma, dimenticavo, le elezioni cittadine sono alle porte.
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