Adesso che cala il prezzo del petrolio e, di conseguenza, quello della benzina, sembrerebbe che le vendite di automobili debbano ripartire. Non facciamo però bene i conti con la crisi di un modo di muoversi che ha dominato duecento anni, ma che oggi e nel futuro sarà sempre meno praticabile. Il binomio [auto di proprietà + petrolio] diventa sempre più incompatibile con il traffico che si congestiona, il clima che cambia sotto i nostri occhi, le città inquinate, le code irritanti.
In sostanza, la siccità o le inondazioni frequenti, la qualità della vita e il bisogno di una mobilità gradevole, bussano alla porta per un cambiamento radicale perfino di un prodotto come l’automobile, che ha caratterizzato più di ogni altro lo sviluppo industriale del ‘900 e l’immaginario di generazioni.
Al suo posto ci preoccuperemo di organizzazione e riduzione del traffico con minore congestione dello spazio, di una crescita di servizi prevalentemente pubblici o ad accesso temporaneo, di mobilità muscolare in percorsi e luoghi riconsegnati alla socialità. Da subito, in una fase di transizione, si diffonderanno veicoli a ridotta emissione di CO2 e che delimitano il consumo di petrolio climalterante e ormai risorsa scarsa, accompagnati dal diffondersi di servizi in leasing e di mezzi collettivi a risparmio di energia. Ci capita anche nelle stazioni locali, come Tradate, di trovare posteggiate auto elettriche con cui spostarsi nell’ultimo tratto di percorso, con una scheda acquistata dopo il biglietto del treno.
Già ora le case automobilistiche più innovative sono sotto pressione: in Francia, Inghilterra, Germania, Usa, Giappone e Corea del Sud, dove prendono sempre più quota le soluzioni ibride, i motori elettrici e i veicoli da trasporto collettivi con celle a combustibile alimentate a idrogeno. Non così da noi, dove un reiterare ossessivo del presente sembra scacciare il futuro.
Parlare di auto ibride significa riferirsi alla quota maggioritaria di ricerca e sviluppo delle grandi imprese mondiali, almeno in questa fase. Parlare di auto elettriche, oggi, significa parlare forse del rischio d’impresa maggiore, ma anche della prospettiva più favorevole, e non solo per il traffico urbano.
La Francia, ad esempio, si conferma come un mercato in fortissima crescita, mentre in Norvegia il settore delle vetture elettriche copre più del 7% dell’intero mercato automobilistico. C’è poi il caso della Tesla, fabbrica californiana, che fornisce auto elettriche di nicchia e costose, ma il suo successo, mantenendosi a livello di media impresa e cercando di rendere “open source” i suoi brevetti, è servito da esempio e ha dato il via a startup in tutto il mondo. Toyota Motor Corp. presenta al salone di Los Angeles un’auto alimentata a celle a combustibile che viaggia 300 miglia con un serbatoio di idrogeno che può essere ricaricato in meno di cinque minuti.
Al di là delle singole soluzioni, ancora da valutare per l’impatto sociale, ambientale, industriale e occupazionale complessivo, non c’è dubbio che è in corso una grande trasformazione, rispetto cui l’Italia si è messa alla finestra. Siamo diventati velocissimi in “riforme istituzionali” e espertissimi nel rispettare o manipolare “patti segreti”: le notizie al riguardo riempiono le nostre giornate, ma non ci cimentiamo per primi nemmeno con la lenta ma inesorabile scomparsa del fascino dell’automobile.
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