Alla fine dell’anno appena iniziato i Comuni che non avranno ancora adottato un Piano di Governo del Territorio non potranno continuare ad applicare le previsioni del loro Piano Regolatore. A oggi solo una sessantina di Comuni (sui centoquarantun Comuni della Provincia) hanno adottato il PGT. L’Amministrazione provinciale sta attrezzando gli uffici che dovranno verificare i PGT che dovranno essere adottati nel corrente anno, in vista della congestione di adozioni che si prevede per i prossimi mesi. I Comuni si daranno, necessariamente, una ‘mossa’.
Ma il grande problema è un altro, ancora oggi largamente trascurato. Riguarda la presa di coscienza, finalmente, circa gli insediamenti sul territorio, che hanno cambiato la consistenza e la configurazione della città. Manca tuttora la necessaria consapevolezza culturale del problema. Si capisce benissimo che di questa non si può dare carico ai Consigli comunali delle più o meno minute realtà locali, ma sorprende che il discorso non sia affrontato nei Comuni maggiori e, anche, non abbia incidenza sull’iniziativa della Provincia e sulla necessaria revisione del Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) rispetto al quale i PGT comunali devono adeguare le loro previsioni.
A Milano da qualche tempo, finalmente, si parla di città metropolitana, concezione che ha certamente più corrispondenza con la realtà attuale del Milanese di quanto non possa rappresentarla la perimetrazione provinciale. E si parla di soppressione della Provincia. Nel nostro territorio provinciale è evidente l’articolazione tra la parte sud, con una sua aggregazione esistente di fatto almeno tra il gallaratese e il legnanese e la parte nord con Varese e le valli. Senza volere ipotizzare nuove aggregazioni rigidamente intese come nel passato, è evidente che occorre fare un discorso collaborativo nuovo fra le comunità locali. Da avviare ragionevolmente con la necessaria sollecitudine.
Non ha evidentemente più senso la pianificazione separata, Comune per Comune, esclusivamente o quasi rivolta alle cubature da consentire, magari al supermercato da attrarre. Al massimo proponendo collaborazioni con i Comuni adiacenti per razionalizzare i servizi pubblici. Perché la vita delle comunità, abbandonati frequentemente i centri storici (un po’ disprezzati), dove solo le chiese sopravvivono, non può essere illusoriamente relegata nei nuovi condomini o nelle ‘villettopoli’.
Occorre, quindi, ripensare la città oggi. Con la dispersione e frantumazione avvenuta. Individuando quei necessari caratteri che promuovano identità (appartenenza) attraverso anche ‘segni’ nuovi, che favoriscano solidarietà, progetto comune di vita.
Cultura nuova, politica nuova.
Urbanistica nuova applicata alla città reale, superando decisamente, nel progetto, gli attuali confini amministrativi. Impegnando competenze diverse: urbanistiche e sociologiche.
Ma tutto, purtroppo, ancora tace nel nostro piccolo mondo, dove potremmo finalmente alzare la voce per scuotere gli animi e la quiete (relativa) della politica del giorno per giorno.
Si tratterebbe, come si capisce, di una vera e propria rivoluzione culturale, di una riflessione anche drammatica, urgente e necessaria, che avrebbe rilevanza sociale ed economica.
Di un nuovo percorso civile da compiere insieme.
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