Il famoso architetto Mario Botta nel corso della sua recente presenza a Varese pare abbia dichiarato: “… non sono gli architetti a fare la città ma sono i varesini che devono rifarla…” dopo avere esplicitato la sua radicale avversione a tenere in piedi la Caserma Garibaldi. Un intervento nella vecchia caserma “sarà un bagno di sangue”, ha detto tra l’altro, così bocciando senza mezzi termini l’accordo di programma sottoscritto recentemente da Comune, Provincia, Regione con l’avallo dell’Università e della ASL per la riqualificazione di Piazza della Repubblica.
Un giudizio autorevole, pesante, anche se va dato per scontato che pure un noto architetto, allo stesso modo del più modesto geometra di paese, preferirebbe di gran lunga progettare su libere superfici anziché affrontare il recupero di antichi edifici per di più assai malandati. Opinione legittima quella di Mario Botta, suffragata da qualche sua rapida osservazione sui costi e, aggiungiamo noi, dalla indubbia difficoltà di operare artisticamente su una piazza dove si affacciano manufatti di diverse epoche e architetture, per funzioni più varie, il tutto tanto difficile da armonizzare e quindi da far coesistere al meglio se non con soluzioni di eccelsa genialità. Opinione che però non può prescindere dalla obiettiva difficoltà del problema, il quale effettivamente abbisogna di approfondimenti, di confronti di idee, di partecipazione, ben più ampi di quelli sostenuti fino ad ora.
È ben vero che fasti e nefasti di Piazza della Repubblica non sono nuovi, tuttavia negli ultimi tempi hanno maggiormente calamitato l’attenzione cittadina aspetti di mala frequentazione e di ordine pubblico. Il trasferimento del cuore direzionale dell’Università e l’abbattimento di pezzi dell’ex Collegio Sant’ Ambrogio, sono avvenuti nell’indifferenza generale, deliberati dalla Provincia, proprietaria, senza darne menzione del come e perché. È occorso qualche crollo con la chiusura al transito veicolare della via Spinelli per risvegliare un adeguato interesse sul futuro della caserma della piazza. Da qui l’accelerazione dello studio di soluzioni che prevedessero tra l’altro anche la costruzione di un nuovo teatro, assai sentito problema varesino.
Sicuramente sono stati saltati a piè pari alcuni doverosi passaggi democratici nella fretta di presentare entro l’anno decorso un masterplan che, per la parte finanziaria, permettesse sopratutto di contare sul promesso robusto contributo della Regione Lombardia.
Avrebbe dovuto essere preliminarmente il Consiglio Comunale di Varese a discutere ampiamente del futuro della piazza della Repubblica, decidendone funzioni e destinazioni da trasmettere come preminente indirizzo a professionisti ed uffici incaricati della redazione del piano di riqualificazione. Un passaggio non avvenuto nella istituzione più deputata a farlo.
Trovandoci davanti ad “un documento di indirizzo strategico senza valore prescrittivo” è dunque da ritenersi corretto che ora ne vengano sopratutto discussi gli indirizzi strategici rimandando a successivi passi tutti i giudizi sulle parti esecutive. Hanno incominciato a sentirsi le voci di alcuni consiglieri comunali e di qualche autorevole rappresentante del Comitato Varese 2.0, quello per intenderci che ha condotto fino ad oggi brillantemente la battaglia contro il parcheggio bunker della Prima Cappella.
È stato annunciato un “manifesto del civismo varesino” che, nelle intenzioni, dovrebbe sintetizzare “i principi di una idea diversa di città e di un diverso modo di amministrare e di partecipare”. Si parla di studiare proposte per un “masterplan alternativo” presumibilmente rivolto a variazioni di merito. Un passo in avanti rispetto alle pure annunciate proposte demolitorie “alternative”, a favore di numerose più urgenti esigenze cittadine.
Inutile dilungarci sulla storia passata, sui pochi o tanti errori, sui nostalgici ricordi di quella che fu la bella Piazza d’Armi e poi del Mercato. Ci attendiamo che le proposte siano numerose partendo comunque dalla situazione di fatto e dal desiderio di non perdere una buona occasione per riqualificare un importante comparto cittadino. Da parte nostra non ci resta che auspicare precise risposte ad interrogativi posti entro alcuni “paletti”, fuori dei quali si finirebbe”fuori pista” e la discussione servirebbe soltanto per alimentare l’immenso libro dei sogni. Vogliamo provare ad indicare qualche “paletto”?
La vecchia caserma deve essere recuperata e destinata a funzioni civiche o è inutile ricercare alternative al suo abbattimento?
La costruzione di un nuovo teatro per la città è da considerarsi obiettivo da conseguire con la riqualificazione della piazza?
Quello che rimane del vecchio Collegio Sant’Ambrogio già in parte demolito deve essere assolutamente salvato e con quale possibile destinazione?
Il nuovo teatro, se lo si vuole, dove andrebbe costruito? All’interno della Caserma Garibaldi, al posto dell’ex Sant’Ambrogio o nell’area dove opera l’attuale posticcio teatro?
Le risorse per finanziare il piano dove reperirle? Devono essere tutte di origine pubblica cioè a carico dei bilanci di Comune, Provincia, Regione o in parte possono provenire da investimenti privati?
Più chiaramente, il Comune e la Provincia possono cedere o concedere in uso a privati aree di loro proprietà a fronte per consentire la realizzazione di rilevanti opere pubbliche? Ovviamente sempre mantenendo salvi nella trasformazione dei beni i propri valori patrimoniali?
A dopo le pure importanti e numerose questioni di dettaglio.
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