Non sempre le idee di progresso, libertà, democrazia, uguaglianza, giustizia, legalità trovano riscontri convergenti, per ragioni storiche, per come si sono delineati gli eventi a causa della loro natura antropologica, sociale, culturale, religiosa. Non sempre ciò che è giusto per noi lo è necessariamente per gli altri, non sempre il nostro modo di agire e di pensare corrisponde a quello degli altri, non possiamo imporre il nostro modello, neppure quando potrebbe sembrarci attendibile. Un valore che potrebbe mettere d’accordo tutti c’è: l’amore per la vita. Amare la vita è un formidabile punto di partenza e di arrivo, chiave di volta di tutte le resistenze del mondo. Amare la vita significa rispettarla. Perché? Perché, forse, non ci appartiene, ci è stata consegnata per farne buon uso.
Non tocca a noi ergerci a giudici di un tale mistero, così immenso, così straordinario e così unico. Possiamo solo cercare di capirne l’importanza, sentirla, viverla, gioirla, amarla, soffrirla, goderla, ascoltarla, contemplarla, camminare con lo sguardo rivolto verso la sua bellezza, coscienti che un giorno tutto questo finirà, non per nostra decisione, perché la vita ha nel suo DNA tutto ciò che la riguarda, sa badare a se stessa: è autosufficiente. È in questa condizione di temporaneità che aspira alla sua pienezza, alla sua identità, alla sua opzione di speranza. È nella comprensione che si realizza la religiosità dell’amore, è nel riconoscersi parte di una grande famiglia planetaria che i diritti e i doveri superano i loro ambiti particolari per diventare storia universale. È nell’umana dimensione del rispetto che gli esseri umani possono amare infinitamente ciò che misteriosamente hanno ricevuto in dono.
Le differenze esistono per essere occasioni d’incontro, momenti di conoscenza, di consapevolezza, di ammiccante reciprocità. Amare non è facile, ma può essere possibile e allora anche una parola o un gesto potrebbero avere un volto radicalmente diverso da quello che abbiamo immaginato. Ci sono tradizioni che faticano a rinnovarsi, a creare nuovi equilibri, a mettere da parte primati, a utilizzare il confronto come forma democratica di maturazione individuale e collettiva. Ci sono popoli che mantengono gelosamente intatti usi e costumi, modelli di pensiero, quell’ ispirazione umana nella quale realizzano varie forme d’ integrazione e di compatibilità. Ci sono democrazie che abusano della propria identità, che non amano mettersi in discussione, riconoscere i propri errori, che giudicano sulla base di visioni egocentriche della realtà, come se la volontà altrui non avesse un ruolo nella costruzione democratica del mondo. Tutto deve concorrere a ricercare e a trovare soluzioni, a insegnare che ogni verità ha un suo lembo di non verità e che il buon vivere dipende esclusivamente dalla capacità di mediare, dialogare, armonizzare, trasformare le differenze in momenti di comprensione e di convergenza.
Sulla reciprocità della relazione si può e si deve costruire il futuro delle generazioni, in modo tale che la diversità diventi una ricchezza e la cultura della diversità passi al servizio della crescita delle persone, a qualsiasi mondo appartengano. È nel rispetto della reciprocità che si dissolvono vendette e rancori, odi e incomprensioni, è nel divenire della relazione umana che prende corpo il nuovo, di cui il rispetto per la vita è la vera struttura portante. Si tratta di un nuovo che non potrà più essere odio di classe o odio di razza, un nuovo che non potrà più essere aspirazione di vendetta o ricerca assoluta di un primato, ma necessità di attuare strategie di fratellanza. Viviamo l’epoca in cui i grandi problemi sono nettamente prevalenti sull’egoismo di parte, epoca in cui all’uomo e alla donna viene richiesto un grande impegno morale e sociale, che va nella direzione di un’acquisizione di dignità e dove tutto nasce e si riconduce alla vita come bene supremo, come punto di partenza e punto di arrivo, vero motivo su cui fondare la temporaneità del nostro viaggio terreno.
La comunità mondiale è chiamata a un grande impegno unitario che vada oltre steccati politici, culturali e sociali, vecchie ruggini della storia o nuovi odi esistenziali. Chi non ama la vita, chi in mille modi la uccide, non ha il diritto di sedere al convivio della storia, ma nessuno detiene il primato della ragione, nessuno è sapiente a priori, nessuno è così forte da cancellare l’aspirazione alla libertà e alla bellezza, tutti, con modalità diverse, siamo chiamati a dare un senso alla vita, che è il bene supremo.
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