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Politica

CON NAPOLITANO, LAGGIÙ A ROMA

DANIELE MARANTELLI - 16/01/2015

napolitanoLa mattina del 10 maggio 2006 ero in Transatlantico. Ho l’abitudine di giungere presto alla Camera. Nel corridoio, pressoché deserto a quell’ora, incontro Giorgio Napolitano. Durante l’assemblea dei grandi elettori dell’Ulivo, nella splendida Sala della Regina, era stata avanzata la proposta di eleggerlo Presidente della Repubblica. In quella mite alba romana mi ero svegliato pensando alla possibile grande novità. L’elezione di un esponente di spicco della storia del PCI alla più alta carica dello Stato. Come in un film, in rapida sequenza, passavo in rassegna immagine fortissime. La presenza ai congressi nazionali, sin dal 1979 a Roma, giovane segretario di sezione, in piena stagione del terrorismo brigatista. La partecipazione ai funerali di Berlinguer nel giugno 1984. Da segretario cittadino avevo organizzato la partecipazione dei varesini. C’era accanto a me mio padre, che sarebbe mancato cinque mesi dopo. La fase, colpevolmente lunga, della svolta di Occhetto, che sostenni in modo tanto convinto, quanto sofferto.

In quel giorno speciale mi ritornava in mente soprattutto il 28 marzo 2001. Piero Fassino, candidato vice premier dell’Ulivo alle elezioni politiche, mi aveva chiesto di coordinargli la campagna elettorale in Lombardia che affrontò con grande vigore e con la sua proverbiale capacità di lavoro. Ero segretario provinciale dei DS e consigliere regionale. Decisi, di fronte alla scarsa propensione di molti cosiddetti big di venire a dare battaglia in un territorio difficile, di invitare a Varese Giorgio Napolitano. Accettò volentieri. Fui rimproverato, persino nel mio partito, per aver invitato “un vecchio”. In effetti aveva settantasei anni. Gli preparai una giornata ricca di impegni. Varese, Sesto Calende, la sera Busto Arsizio. Impegni che affronto’ con passione oltre che con la consueta impeccabile preparazione. Alla sera mi fece una dedica su L’Unità che riprendeva le pubblicazioni proprio quel giorno e che ho gelosamente conservato. Mi scrisse: a Daniele Marantelli in ricordo di una giornata “carica”.

Non so se con quell’espressione volesse esprimermi affetto o rimprovero per una giornata oggettivamente faticosa. Comunque un’espressione di gran classe che mi ripagava delle tensioni di una giornata particolare anche per me. Iniziata molto presto. Ero stato al reparto sollievo dell’Istituto Molina, dove da due anni era ricoverata mia mamma in uno stato di coma. Condizione che sarebbe durata per altri tre anni. Andavo a trovarla ogni giorno prima di andare a Milano a lavorare in Regione. Quel giorno anticipai di molto la visita, perché, prima di accompagnare Napolitano in tutti i suoi incontri, dovevo urgentemente risolvere un grana piuttosto complicata riguardante la campagna di Fassino. In quel maggio del 2006 ripensavo a quel 28 marzo 2001. Dalla sveglia all’alba rivivevo una sequenza di emozioni, volti cari di famigliari e compagni, partecipazione. Rincasai alla sera molto tardi. I miei figli, che al mattino, quando uscii, dormivano, giustamente, riposavano. Unico motivo di tristezza e di interrogativi condivisi, come sempre, con mia moglie in una giornata che era andata, politicamente, molto bene.

Questi erano i miei sentimenti quando la mattina del 10 maggio 2006, molto presto, incontrai Napolitano alla Camera. Lo salutai e gli dissi che alle persone cui volevo bene di solito portavo fortuna e, pertanto, quel giorno lui sarebbe stato eletto Presidente della Repubblica. Anche se poco incline alla battuta, mi disse che a lui risultava fosse Prodi colui che portava fortuna. Vedrai che da oggi non sarà solo lui, gli risposi. Come speravo, non certo per i miei auguri, quel giorno Napolitano fu eletto Capo dello Stato.

Un giorno, forse, racconterò più diffusamente le convulse giornate dell’aprile 2013. Mi limito a ricordare che, dopo le traumatiche dimissioni di Bersani a seguito della bocciatura di Prodi, con un PD in stato di choc, la mattina del 20 aprile 2013 ero, casualmente, presente alla riunione della Presidenza del gruppo PD convocata prestissimo alla Camera, dopo una notte da incubo. Dieci giorni prima, invitato insieme ad altre persone a pranzo dall’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi, sollecitato ad esprimere un’opinione sull’imminente elezione del Quirinale, dissi che quel Parlamento non era in grado di eleggere nessun altro che non fosse Giorgio Napolitano. Avevo rafforzato questa convinzione dopo aver scambiato alcune riflessioni nel pomeriggio e poi nella tarda serata del 19 aprile con un grande elettore particolare come il Presidente della Regione Lombardia, l’amico Roberto Maroni. Eppure c’era ancora chi, comprensibilmente stordito e inesperto, nel corso della riunione pensava a soluzioni surreali come quella dell’ex ministro Cancellieri.

Ribadii che il PD doveva energicamente porre fine all’impazzimento ed andare senza incertezze su Napolitano se non si voleva mettere a rischio la democrazia. E che, per vincere la sua comprensibile contrarietà, mi sembrava una buona idea quella di mandare al Quirinale una delegazione di Presidenti di Regione, espressione di tutti gli schieramenti, per chiedergli di accettare. Andò, più o meno, così e, nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno, ci fu la storica rielezione.

Saranno gli storici a dare un giudizio su Napolitano Presidente. Io non credo all’infallibilità. Nemmeno alla sua. Potrà aver commesso errori. Mai quello di aver fatto qualcosa contro gli interessi generali del nostro Paese, in un tempo così tormentato della storia dell’Europa e del Mondo, nella quale poteri non influenzabili democraticamente come la finanza, le reti informatiche, il terrorismo, hanno spesso espropriato le stesse Istituzioni. Ho avuto la possibilità e la fortuna di di conoscere un gran numero di personalità politiche e religiose, intellettuali, scienziati, artisti di fama e campioni dello sport. Per me Giorgio Napolitano è stato ed è un gigante. Una persona verso cui nutro ammirazione, affetto e gratitudine.

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