L’anno 2014 ha visto il ritorno della politica alla guida del Paese. Dopo il governo tecnico di Mario Monti e il governo di larghe intese di Enrico Letta (frutto di un esito elettorale incerto e dell’amaro fallimento del PD sulla elezione del nuovo Presidente della Repubblica), l’arrivo al potere di Matteo Renzi ha cambiato lo scenario istituzionale.
Questo cambiamento sta producendo, fra l’altro, un indubbio e necessario irrobustimento della struttura della presidenza del Consiglio che mette sulle spalle del capo del governo strumenti e responsabilità di coordinamento che vagavano su diversi ministeri. Un disegno che anche Berlusconi e altri presidenti del Consiglio avrebbero voluto realizzare senza mai riuscirci.
Il ritorno della politica e il rafforzamento di Palazzo Chigi (ottenuti senza una nuova elezione parlamentare) sono il frutto delle primarie per la leadership del PD largamente vinte da Renzi e della legittimazione indiretta del 40,8% conseguito alle europee. Sono però soprattutto il risultato della guida univoca del governo e del partito di maggioranza, fatto impensabile in una forza di sinistra fino a pochissimo tempo fa.
Questa circostanza ha fatto e fa parlare di anomalia italiana, ma in realtà è in linea con quanto accade nei Paese europei dove il leader del governo è anche il leader del proprio partito finché non perde le elezioni e scompare dalla scena politica che conta.
C’è chi vede in tutto ciò il rischio che il potere si concentri su poche persone impoverendo la vita dei partiti politici che restano, indiscutibilmente, l’architrave di ogni sistema democratico di tipo europeo. Non è così se si concepisce l’attività dei partiti come funzionale alle istituzioni e al governo del Paese e non come depositari di un potere di veto sulle politiche governative.
I partiti sono credibili e rispettabili quando rinunciano ad un ego spropositato, solitario, patetico. Cosa vuol dire, a sinistra, mantenere in vita separatamente SEL, Comunisti Italiani, Italia dei valori, Rifondazione comunista? La stessa cosa può dirsi per il centro e per la destra che hanno una serie di sigle ormai svuotate di ogni significato reale.
In questo quadro i partiti all’opposizione (e le immancabili minoranze dei partiti di governo) hanno l’importante compito di incalzare le maggioranze, di preparare l’alternativa, di controllare che la forza della leadership non dilaghi in un dominio soffocante. Il loro ruolo, nel Parlamento e in tutti gli altri organi collegiali, è indispensabile e va tutelato con convinzione e con fermezza.
Si dice spesso con spirito polemico che è necessario che l’Italia diventi un “Paese normale”. Affinché ciò si avveri completamente sono essenziali almeno tre condizioni: una leadership democratica autorevole, la guida del governo affidata al capo del partito che vince le elezioni, un premier che sia davvero capace di assumersi le responsabilità più difficili. Abbiamo imboccato la strada giusta? Ce lo dirà meglio il 2015.
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