Sono sempre tanti, soprattutto nelle festività natalizie, ad accostarsi al sacramento della Penitenza. Ma la motivazione portante, per molti di loro, è per lo più di carattere tradizionale: “Almeno a Natale dobbiamo essere buoni” dicono alcuni. Qualcun altro specifica: “Non ho niente da dire, ma siccome ero qui in Santuario e ho visto che era libero, ho sentito il bisogno di confessarmi…”. È come se si volesse fare il “tagliando dello spirito”, per andare avanti, poi, vivendo di rendita.
Invece è questa – anche pastoralmente – un’occasione propizia per verificare e programmare un nuovo e serio cammino di vita spirituale, guidato dalla Scrittura, nel segno della penitenza e della riconciliazione con Dio e con i fratelli.
Dico questo riconoscendo che ancora oggi, dopo le aperture del Concilio e i tanti insegnamenti dei nostri Pastori (conosciamo quanto ha fatto il cardinale Martini per trasmetterci il suo amore per la Bibbia), non c’è ancora un’educazione etica sulla Scrittura. Solo la Parola, infatti, può farci capire i nostri sbagli e solo la Parola può indicarci il cammino da intraprendere per la conversione. Le nostre comunità dovrebbero avere più coraggio nel collocare al centro le Scritture e costruire su di esse i loro cammini quaresimali, penitenziali e non solo.
Va pure riconosciuto che, a causa della frantumazione dell’agenda dei preti fra mille appuntamenti (compresa la visita natalizia alle famiglie), da parte loro non c’è sempre una adeguata disponibilità all’ascolto, alla celebrazione penitenziale e al dialogo che riconcilia.
Personalmente sono contento di notare che la confessione – qui come penso in tutti i Santuari – fa parte delle antiche tradizioni della nostra gente. La devozione alla Madonna “madre di misericordia e rifugio dei peccatori”, l’anonimato dei penitenti e la disponibilità dei confessori hanno certamente contribuito al consolidarsi di questa bella tradizione di famiglia, come testimoniano non pochi anziani dei nostri paesi…
Accanto a quelli che si confessano “per abitudine”, non mancano altri che manifestano un desiderio di purezza interiore, di spiritualità umile e seria, di itinerari ritmati dalla Parola di Dio e della Chiesa.
Che belle e delicate sensibilità si incontrano, soprattutto nelle generazioni più giovani! Al termine di certe giornate, particolarmente impegnative, mi viene spontaneo cantare con Maria il mio “Magnificat” per lodare il Dio Altissimo, che “fa cose grandi” in coloro che lo amano.
Sono particolarmente commosso dalle confessioni di chi ritorna al Padre come il figliol prodigo, dopo aver sperperato il patrimonio (non solo economico, ma umano e spirituale) in una vita da dissoluto. Vien voglia di gettargli le braccia al collo, e condividere la gioia nel vedere che in lui la grazia di Dio ha prevalso: era morto ed è tornato in vita, era peccatore e si è convertito. Se c’è gioia in cielo, è autorizzata anche la nostra, in terra!
Non ricordo le parole precise, ma da più di uno ho sentito frasi del tipo: “Non potevo credere che il Signore avesse ancora misericordia per uno come me, che ne aveva combinate troppe. Ma il Papa ha detto di non stancarsi di chiedere perdono a Dio, perché lui non si stanca di perdonare; ed allora… eccomi qua!”. Benvenuti a tutti!
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