Dicembre, il giorno si apre su di un cielo azzurrino e terso, liscio come uno specchio d’acqua intonso di nuvole e senza vento. La luce allaga ogni angolo, penetra nei giardini tra i rami delle camelie che oramai fioriscono insieme, quelle d’inverno e di primavera.
Scherzi della natura?
Non è proprio così, ma oggi è giorno di serenità.
Da tanto desideravamo questa luce. L’anno che sta per lasciarci ci ha dato più acqua che sole, più mugugni atmosferici che sorrisi, e ci ha resi un po’ tutti cupi e tristi.
Ma adesso, ecco, questa improvvisa luce dicembrina, che preannuncia nella sua chiarità mattinale e trasparente il solstizio dell’inverno, è foriera di ogni bene. E lassù in alto, sulla lastra celeste, s’affaccia la sfera della luna, che inizia a scivolare nella fase discendente.
La faccia madreperlacea, con gli incavi umbratili dei suoi pieni e dei suoi vuoti, la rivela come un’eccentrica opera d’arte, quasi creatura sfuggita alle mani di Moore, piazzata là in alto per farsi meglio osservare.
Da quella palla lassù alla nostra quaggiù: i lontani occhi percepiscono in pieno la perfetta levigatura, la sfericità esteticamente appagante, che riguarda anche il nostro pianeta, e che si è mostrata ai primi esploratori dello spazio nella sua perfezione cosmica. Perfetta la luna, perfetta la nostra terra che la guarda da qui, due opere d’arte perse in quel nero silente che percepiamo solo la notte. Come perfetta ancora è la luce celeste che oggi ci arriva, più limpida che mai, in grazia del fuoco che arde nel cuore del sole.
Hanno detto gli scienziati che non sarà per sempre così, un giorno il suo cuore finirà di bruciare e offrirci calore. Ma per intanto, benedetto sia Fratello Sole, illumina la terra per noi che siamo quaggiù.
Già, la scienza. La scienza nuda di orpelli, persuasa del suo sguardo esatto: ci distoglie dall’apparenza della bellezza e ci bacchetta e richiama alla realtà, E se non ha pezze giustificative, se non conosce – o ancora non riconosce – nega, e neppure esiste, per sua stessa definizione. A volte indispensabile, a volte inutile come una coperta che, se copre le spalle, scopre le gambe.
Ma per capire il senso di questa meravigliosa installazione cosmica di pianeti e satelliti, di lune e di soli, da dove cominciare? Che risposta ci sa dare la scienza? E potrà mai ricostruire, per noi, i tratti del volto di chi ha gettato il primo seme?
E ancora, cosa scoprirà, cosa capirà alla fine del suo lungo viaggio la nostra esploratrice, Samantha Cristoforetti, la prima italiana in viaggio nello spazio, che guarda il mondo dall’alto e cui il mondo intero guarda? E dobbiamo ritenere questa donna, intrepida e preparata, più un emblema di coraggio o di curiosità?
Penso al coraggio di Madre Teresa, esploratrice delle umane miserie, persa nell’universo della solitudine e delle tenebre del Male che ha combattuto, nei campi sterminati della lebbra, del dolore e della malattia. Appare tanto più grande e difficile l’impresa della piccola suora di Calcutta, al giudizio pur limitato di chi riflette, rispetto a quella di chi guarda il mondo dall’oblò di una navicella spaziale.
Nella nostra ignoranza scientifica, nella umana limitatezza, negli ineliminabili dubbi di fede che assillano tutti e assillavano anche madre Teresa, le domande sono tante quante sono le stelle. E il destinatario è spesso ancora lei, l’argentea luna. È lei, lo specchio rassicurante del nostro paesaggio, a raccogliere e suscitare dubbi, sempre gli stessi: che fai tu luna in ciel…
Quante domande, vere o pretestuose, futili o importanti, ti abbiamo fatte e continuiamo a farti, quante perplessità abbiamo sottoposte alla tua luce serena? E quanta presunzione nel volerti interrogare, così lontana e irraggiungibile per quasi tutti noi…
Grazie anche a te allora, sorella Luna, che ti fai carico delle nostre inquietudini e illumini la notte e il cielo, anche per noi.
E che oggi ti lasci guardare, radiosa come una sposa vestita di velo, nella luce del primo mattino.
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