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Attualità

VIENI TRA DI NOI

EDOARDO ZIN - 19/12/2014

Presepe vivente a Brezzo di Bedero

Presepe vivente a Brezzo di Bedero

“È Natale ancor…”. Ci porteremo verso le chiese per la Messa di mezzanotte. La notte ci riporterà al Mistero e alla ricerca talvolta penosa delle nostre angosce. Ancora una volta ascolteremo Giovanni: “Il Verbo divenne carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

Ci lasceremo alle spalle la cena della vigilia, il fuoco del camino e il gatto acciambellato ai piedi della poltrona. Ci faremo condurre dal silenzio del piccolo paese verso il sagrato. Lì incontreremo altra gente, i saluti discreti si confonderanno con lo scoppiettio impertinente dei petardi. In chiesa ci saranno il brusio e il via-vai che accompagnano l’inizio della celebrazione. È un cruccio che il silenzio venga ostruito dalle voci e dai rumori. Il silenzio dovrebbe dominare nell’attesa dell’annuncio. Il silenzio è necessario per ascoltare, trovare le parole giuste, condizione per l’incontro con gli altri e con l’Altro.

Papa Francesco ha detto: “Il Signore è in un filo sonoro di silenzio. Egli si avvicina con la sonorità del silenzio che è propria dell’amore”.

“Il Verbo divenne carne” – sarà proclamato. Dio ha fatto Sua la nostra vulnerabilità, caducità, insicurezza, provvisorietà. Anzi non si è accontentato di sposare questa nostra precarietà. È andato oltre. Da Dio a schiavo: ecco la sua “oscena” (= fuori di ogni scena) divina “carriera” a rovescio! Dopo l’attesa dei patriarchi, nella pienezza dei tempi, dopo aver educato il suo popolo, Dio si fa carne.

Con l’Incarnazione, la Sua morte, passione e resurrezione, Egli ci ha salvati, ma la salvezza non si è ancora completamente realizzata. Siamo noi, uomini e donne di questi giorni, a continuare la storia sacra e a costruire la salvezza giorno per giorno: la pace è sempre in pericolo, la dignità dell’uomo diviene bersaglio di tante miserie, la giustizia è negata a molti e ridotti a laceri proclami, la solidarietà un insieme di frasi consunte. I media ci portano il mondo in casa. Che cosa faremo per preparare la strada al Signore che verrà nella Sua seconda venuta? Che cosa faremo per sanare le ferite della carne sofferente e piagata dei feriti nel cuore? Come ci impegneremo per costruire un mondo più umano?

“Venne ad abitare in mezzo a noi” – continuerà a leggere il diacono. L’amico biblista mi dice che la traduzione italiana non rende la profondità del Vangelo di Giovanni. Sarebbe più esatto dire: “Il Verbo piantò la sua tenda in mezzo a noi”.

La casa, con le sue fondamenta, è fissa, con le sue pareti sempre più imbottite protegge, ma al tempo stesso isola, separa, divide. Se la casa è stabile, la tenda può essere spianata in qualsiasi momento.

Dio non ha scelto una casa, ma ha preferito accamparsi fra di noi, condividendo tutto ciò che è umano, in una estrema solidarietà e in una sua radicale complicità con l’uomo. Dio lo possiamo incontrare sulle strade degli uomini, anche su quelle più impervie: nei contesti apparentemente tranquilli e pacifici; nelle periferie delle grandi città dove – accanto all’anziano solo e malato – girovagano droga, prostituzione, violenza; negli ambienti alto-borghesi dove la Messa di mezzanotte sarà celebrata nella cappella di famiglia; nelle case dove si mescolano gioie e rancori, nelle stesse comunità cristiane dove alla contemplazione del Trascendente sono subentrati l’ansiosa smania di “fare” tante pie pratiche devozionali e di “organizzare” marce, feste, sagre per tentare di richiamare all’ovile le tante pecorelle smarrite…

Ancora una volta Papa Francesco ci viene in soccorso: “Se Lui ha fatto la storia con noi, se Lui ha preso il Suo cognome da noi, se Lui ci ha lasciato che scrivessimo la Sua Storia, da parte nostra dovremmo lasciare che Dio scriva la nostra”.

La Sua tenda allora si sposterà nelle famiglie per creare tenerezza, nelle scuole per infondere nei docenti e discenti il desiderio profondo di conoscere, nei gruppi perché prevalga la concordia, nelle città perché vengano costruite a favore dell’uomo e non degli interessi, nella società perché giustizia e bene comune si abbraccino…

Al termine della Messa, ci avvieremo verso la balaustra per baciare la statua del Bambino. Con quel bacio vorrei anch’io baciare i bambini che nascono ancora, portatori di speranza.

Domani, attorno alla tavola apparecchiata ci si incontrerà ancora, si praticherà l’ospitalità, ci si guarderà in faccia: gli anziani con il loro volto comunicheranno fatica e sofferenza, i bambini la loro gioia, si scatenerà la voracità dei giovani, la speranza che molti portano dentro di loro. Non si condivideranno solo la sapienza dei sapori e la fetta di panettone, ma anche gli affetti in una armoniosa compattezza.

Per molti sarà un Natale sobrio, per altri complicato, poco prevedibile, stretto tra timori e speranze, tra ansietà ben giustificate e voglia di allegrezza.

Penso al pranzo di Natale di quando ero bambino, in una casa modesta come la mia: tortellini in brodo, cappone con il kren e la mostarda vicentina, mandorlato di Colonia, panettone del fornaro di Costabissara, vino moscato.

A quei tempi, in Alsazia potevano ingozzare con metodi naturali le oche per ricavare il paté de foie senza l’ansia della superproduzione da esportare, i salmoni e gli storioni potevano ancora tagliare tranquilli le acque marine, nessuno li disturbava quando salivano i limpidi fiumi dell’Irlanda e la bollicine del Garganego della mia terra erano più genuine di quelle del Chardonnay d’oggi…

Allora!… A quei tempi!… ma sono passati secoli?

Quanta strada a ritroso abbiamo compiuto. “Non credo più in questo progresso. Che sia progresso” – scrive Jorge Luis Borges.

“Oggi siamo seduti, a Natale,
noi, gente misera
in una gelida stanzetta,
il vento corre di fuori, il vento entra.
Vieni, buon Signore Gesù, da noi,
volgi lo sguardo:
perché Tu ci sei davvero necessario”.
Sembra Paolo VI, ma è Bertolt Brecht.

 

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