Inchiodata dal dolore su una sedia a rotelle, circondata dagli amici dolenti che cercavano di consolarla, gli occhi pieni di lacrime che guardavano smarriti la bara del marito che veniva caricata sul feretro. Il momento del dolore grande per il cessare improvviso di un rapporto d’amore durato una vita. Un improvviso arresto cardiaco, proprio durante una visita di controllo, ha fatto cessare tutto. Un rapporto che, come per tutti, aveva dovuto essere costruito con pazienza, con costanza, con volontà necessarie per superare i momenti difficili, che erano stati tanti: la malattia, i momenti d’indigenza, la continua incertezza.
Il sacerdote nell’omelia ha appena detto che lui è tornato nelle braccia del Padre e ha invitato a parlargli, a dialogare con lui perché lui, avvolto nell’amore dell’Altissimo, senz’altro ascolta.
Ma chi è questo Padre? Perché il suo amore ci mette in una vita che tanto fa soffrire? Una vita iniziata su un’altra carrozzina, più piccola, più gioiosa da cui gli stessi occhi, che ora piangono, guardavano con infinita speranza lo sbocciare della vita.
La vita è stata piena di lavoro, di ansie, di battaglie. Una vita sbocciata con grande gioia in un rapporto d’amore da cui son nati figli con i quali si sono trascorse ore serene, ore di tensione, ore di preoccupazioni, di consolazioni. Una vita di cose fatte, di cose non fatte che avrebbero potuto essere realizzate. Una vita di vizi o di virtù? Una vita con tempi di egoismi, con tempi di donazione. Una vita di gioia di vivere, sempre con la paura della disperazione. Gioia di faticare, gioia di fare nel sudore, nel sacrificio, nell’affanno. Desiderio di vivere e di donare vita.
Ma cos’è stata questa vita che ora sta scomparendo come un soffio di vento? Chi è questo Padre che – ci vien detto – ci ha chiamato in questa vita per un suo atto di amore, questo Padre che non “sa” fermare le grandi disgrazie che l’umanità iniquamente moltiplica?
Non “sa” fermare uomini perversi che uccidono i fratelli, economisti che gettano nella fame e negli stenti milioni di fratelli, aguzzini che costringono sprovveduti, spaventosamente indebitati, a salire su barconi che li porteranno alla morte o in terre abitate da una umanità paurosa e inospitale, ma pronta a succhiare loro il sangue della fatica.
Con gli occhi pieni di lacrime ricorda ancora la grande speranza della gioventù in cui credeva in un mondo futuro migliore, senza cattiveria, senza dolore sia fisico che morale. Ora si ritrova con le ginocchia gonfie, con le mani contorte, col respiro affannoso a constatare una realtà non mutata, che si ripete continuamente in momenti creduti novità, ma con eterna violenza, odio, cattiveria.
Le vien detto che la colpa è dell’uomo creato libero ma che per la sua ignoranza, per sua follia, per sua paranoia non sa conoscere, non sa scoprire la realtà donata e viverla positivamente.
Lei credeva in una vita di donazione, di attenzione agli altri, credeva che, amando gli altri, la realtà sarebbe migliorata e invece ha “bevuto” sempre il dolore che la circondava e ora il dolore è tutto su di lei, inchiodata su quella carrozzina, assistita da mani mercenarie … ma amorose o perverse? Questo il timore.
Ora il feretro è andato. Ripiegata su se stessa, il capo chino, le mani abbandonate in grembo,si chiede se ancora può sperare nell’aiuto di Chi l’ha chiamata in questa vita così misteriosa, così drammatica, ma ambita tanto da desiderare una continuità là dove han detto che lui è andato.
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