Il riferimento evangelico è quello della parabola dei talenti: non nascondere la portata sociale dei valori del Vangelo ma farla circolare nella concretezza delle situazioni, nelle relazioni e partire da lì per costruire rapporti sempre più solidi.
A questo invito Papa Francesco, nell’Angelus di due domeniche fa, ha ancorato il messaggio chiaro del bisogno, ormai ineludibile, di cercare strade di integrazione, dialogo e pacifica convivenza tra immigrati e cittadini nativi o stabilmente residenti nelle nostre comunità.
Parole che non hanno lasciato mancare il suggerimento concreto del come fare, iniziare o continuare la via del dialogo e dell’incontro: Invito le istituzioni, di tutti i livelli, ad assumere come priorità quella che ormai costituisce un’emergenza sociale e che, se non affrontata al più presto e in modo adeguato, rischia di degenerare sempre di più” ha detto papa Francesco.
Nemmeno ha sottratto la responsabilità civile di ciascuno alla certezza che è possibile dialogare, ascoltarsi, progettare insieme e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica ed inclusiva” perché ci si impegni “in modo concreto perché non ci sia scontro, ma incontro. Cittadini e immigrati, con le istituzioni, possono incontrarsi, anche in una sala della parrocchia.
In alcune concrete realtà i varesini segnano da tempo il passo dell’accoglienza, del superamento di diffidenze e paure, dell’incontro: ne sono esempio le diverse mense operanti in città gestite da enti religiosi o da volontari, l’aiuto alle persone indigenti messo in atto dagli Angeli Urbani, la solidarietà incessante delle Caritas e S. Vincenzo parrocchiali. Tutti luoghi dove la provenienza, la cultura, la fede religiosa sono vissuti come patrimonio delle singole persone, come ricchezza dell’individuo e, come tali, anzitutto da conoscere per intessere relazioni. Il colore della pelle, la lingua diversa e spesso difficile da comprendere se non per l’essenziale non sono ostacoli ma segni della naturale diversità umana.
Anche la politica supera gli steccati che dividono: da qualche mese infatti, condivido il momento settimanale di preparazione e distribuzione dei sacchetti con la cena presso la mensa serale di via Luini con un noto esponente di una parte politica opposta a quella nella quale, a mia volta, milito. Non mi ha sorpreso incontrarlo in quella situazione, ma certamente mi ha fatto molto riflettere circa il fatto che il bisogno emergente in città abbia saputo essere un legame e una condivisione naturale e spontanea.
Ne ho parlato una sera in un consiglio comunale, ritenendo che quello fosse il luogo più adatto a raccontare come sia bello vedere e vivere questo tratto della varesinità. L’ho detto in risposta a un intervento di giudizio negativo circa l’operazione militare e umanitaria “Mare Nostrum” che, intensificando il controllo in mare per migliorare le possibilità di aiuto e di soccorso ai migranti in difficoltà, è stata la risposta concreta all’ennesima tragedia del mare che ha portato alla morte di diverse centinaia di profughi annegati al largo di Lampedusa.
E invece, nel luogo “cuore” delle istituzioni cittadine, la distinzione tra un “noi e loro” era palese e risuonava con voce tonante. E mentre, fuori dalla porta di palazzo, la gente comune è già passata oltre tutte le distinzioni e le diversità dovute all’origine, alle differenze di benessere e dignità del vivere, l’ambito istituzionale proseguiva nel porre l’accento su ciò che divide, eludendo qualsiasi riferimento, non solo concreto ma persino ideale, all’accoglienza.
Il messaggio del Papa, di poco successivo a quella seduta di consiglio, arriva puntuale e deciso a dire che invece devono essere proprio le istituzioni, i luoghi di governo a cercare e trovare strade nuove di apertura. Quindi attendiamo che una sera, magari in una sala parrocchiale, siano proprio gli amministratori che governano la città a fare incontrare cittadini e immigrati.
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