Succede, in montagna. Tempo da lupi, ventaccio e nevischio, cielo plumbeo: “Ma chi me l’ha fatto fare?” ti chiedi con l’acqua che sgocciola nel collo. Poi, là in fondo, in fondo, che quasi quasi ti pare uno scherzo del cielo, si apre un lembo azzurro e passa un raggio di sole. È la promessa che il sereno può tornare: ma per vederla, devi saper cogliere anche il più piccolo segno.
Beh, in realtà le novemiladuecentouna tonnellate di cibo raccolte sabato scorso nella Colletta Alimentare non sono poi un segno tanto minuscolo. Una crescita del 2% a livello nazionale (se si trattasse di PIL grideremmo al miracolo), addirittura un 16% in più nel nord Varesotto, pari a 134 tonnellate, è un dato che fa impressione. Ne sa qualcosa mio marito, uno dei centomila volontari impegnati nell’iniziativa, che ha passato la giornata a riempire, allineare e caricare scatoloni e scatoloni di cibarie, in parte già oggi consegnate ai due milioni di poveri che i circa ottomila enti caritativi italiani convenzionati col Banco seguono quotidianamente.
Impossibile non essere contenti e grati per la generosità della gente (in particolare di chi vive sul nostro territorio). Ma come tutti i segni, anche questo va interpretato e compreso: con il po’ po’ di crisi che c’è in giro, da dove salta fuori questo risultato? Come mai le persone non si chiudono in difesa dei propri pochi spiccioli, guardando come nemico l’altro che chiede aiuto? E sì che di guerre tra poveri ne stiamo leggendo fin troppo spesso sui media.
Tante e variegate, le risposte che abbiamo ascoltate dalla voce degli stessi protagonisti: chi è stato aiutato a lungo dal Banco e oggi vuole “restituire un po’ di quel bene ricevuto”; chi lo fa per sentirsi utile “almeno in questa piccola cosa”; chi ha scoperto di sentirsi “più contento quando aiuto qualcuno”; chi è convinto che “possiamo cambiare la società partendo da piccole azioni concrete”. Ma mi hanno colpito le parole di una signora avanti negli anni, vestito modesto e accento veneto: “Perché io so cos’è la fame, l’abbiamo provata in guerra e poi con l’alluvione del Po…”. È proprio questo, ho pensato, il punto: si capisce il bisogno degli altri quando lo si sperimenta su di sé, il bisogno di mangiare come quello di non essere soli, quello di essere amati come quello di trovare un senso alla vita e alla morte.
Chissà che non sia proprio l’essere diventati un po’ più poveri, tutti, che ci sta facendo accorgere di quanto siamo fragili e bisognosi, e di quanto sia vitale, per tutti, darci una mano l’un l’altro. Magari donando “anche solo dei pelati, come me”, secondo la battutaccia di Paolo Cevoli, testimonial della Colletta 2014.
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