Paolo VI il 19 ottobre scorso è stato proclamato beato. Uomo di fede straordinaria, di intelligenza acuta e aperta, si è sempre orientato, oltre la consueta meditazione sui grandi problemi della spiritualità e dell’esistente, verso la logica del fare, del rinnovamento. Nell’udienza pubblica del 7 maggio 1969 affermava il principio di una Ecclesia semper reformanda in ragione delle nuove urgenze storiche, dei nuovi bisogni ed istanze. Di qui si possono rilevare da parte di questo Pontefice interventi di grande spessore, perché il messaggio del Concilio non si vedesse vanificato dalla logica, curiale e non, della conservazione, dai limiti gattopardeschi delle tiepide o false adesioni di maniera. Di qui il rinnovamento liturgico con l’introduzione delle lingue moderne, ma anche la rispondenza alle diverse culture; l’istituzione del Sinodo dei vescovi al fine di stabilire una maggiore collegialità nelle decisioni; la creazione e la valorizzazione delle Conferenze episcopali nei vari Paesi; l’avvio ai lavori per le revisione del diritto canonico; la riforma della curia romana rimasta a lungo a lui ostile, internazionalizzandola e allargandone l’ambito; la valorizzazione del laicato nella vita interna della Chiesa; la rivalutazione della vita consacrata e un suo maggiore inserimento nelle Chiese locali; soprattutto l’impulso decisivo alla dimensione ecumenica delle Chiese (con l’ausilio del Segretariato per l’unione dei cristiani). Il momento più significativo nell’abbraccio col Patriarca ortodosso Atenagora a Gerusalemme nel 1964, seguito dall’incontro con il Primate anglicano Ramsey nel 1969.
Ultimamente Bartolomeo Sorge SJ in Aggiornamenti sociali (ottobre 2014) sottolineava lucidamente in lui l’impegno nell’insegnare e nel praticare l’arte difficile del dialogo nei suoi vari ambiti, intraecclesiale, ecumenico e interreligioso, col mondo, intesa non solo come metodo, ma anche come elemento costitutivo dell’esperienza cristiana. Si trattava di un dialogo di carità, ma anche sviluppato nell’ambito teologico, per individuare gli elementi fondamentali del processo unitivo. Già con l’Enciclica Ecclesiam suam, la prima del suo Pontificato, intendeva istituire un dialogo fecondo tra la Chiesa e gli uomini dei nostri tempi, ribadendo comunque il primato dell’evangelizzazione. Nessun timore nel proclamare principi che hanno scatenato contro di lui il dissenso ecclesiale (dopo l’Humanae vitae del 1968; con la ribellione e lo scisma di Lefebvre – 1976). Era una linea di coerenza che provocava le accuse sia degli ambienti conservatori, che degli aperturisti e progressisti ad oltranza, innamorati delle accelerazioni intempestive sulla via delle riforme.
Nei tre lustri del Pontificato di Paolo VI sono state convocate cinque Assemblee mondiali, onde il rafforzamento della collegialità episcopale e un maggiore riconoscimento delle periferie e dei carismi. Nel 1976 l’istituzione del Pontificio Consiglio per i laici e della Pontificia Commissione Iustitia et pax ha favorito una presenza più attiva del laicato. Nella sua visione comunque le riforme esterne dovevano essere concomitanti e corrispondenti con la riforma interiore (crescita dei fedeli nella fede e nella carità). La comunione ecclesiale andava costruita intorno all’Eucaristia e alla Parola. Il dialogo non doveva mai sfociare in compromessi o cedimenti. Durante l’Anno Santo del 1975 ha denunciato con forza il pericolo di una polarizzazione del dissenso. La più alta testimonianza sta nel Credo del Popolo di Dio, con cui ha voluto chiudere l’Anno della fede (1968). Grande merito l’aver condotto le varie Chiese cristiane alla vicendevole cancellazione delle scomuniche. Del 1974 la decisione di creare un’apposita commissione interamente dedicata a curare i rapporti religiosi con l’ebraismo.
Dall’Enciclica Populorum Progressio sullo sviluppo dei popoli (1967) alla Lettera apostolica Octogesima adveniens (1971) Paolo VI ha cercato di promuovere una risposta della Chiesa ai nuovi bisogni di una realtà in cambiamento. In rilievo il discorso all’ONU contro la guerra (1965), la solidarietà espressa ai lavoratori a Ginevra nel 1969 nella sede dell’OIL (Organizzazione internazionale del Lavoro), la firma degli accordi di Helsinki per la sicurezza e la cooperazione in Europa (1973), l’istituzione della Giornata della pace da celebrare ogni anno il 1° gennaio; infine i grandi viaggi apostolici.
Facendosi carico dei problemi e delle speranze dell’uomo Paolo VI ha saputo tener dritta la barra sia nel confronto di alcuni esponenti della teologia della liberazione favorevoli all’insurrezione rivoluzionaria, sia nei confronti di un pluralismo male inteso.
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