Sono passati quasi centovent’anni da quando venne inaugurata la linea tranviaria Varese – Prima Cappella. Si legge nelle cronache del tempo che il 24 giugno del 1895 una folla di curiosi si assiepò tra la stazione cittadina e viale Aguggiari per vedere la vettura senza cavalli che correva sbuffando sulle rotaie e urlò di compiacimento e di soddisfazione quando si mosse il mostro costruito grazie agli enormi progressi della meccanica che, insieme alle altre scienze applicate, prometteva un futuro di benessere e prosperità. Erano gli albori della Bella Epòque, momento privilegiato della nostra storia, momento di completamento di quel lungo processo risorgimentale che aveva visto impegnati gli italiani tutti e in primis i lombardi, desiderosi di emanciparsi dal dominio austriaco, ordinato e rassicurante ma inviso perché intollerante di quei principi di libertà costituzionale e civile di cui godevano i cugini piemontesi, non soggetti a gioghi stranieri, foriera di libertà di impresa e di sviluppo.
La conquista delle libertà civili e politiche avvenuta da poco più di trent’anni, aveva messo infatti in moto uno spirito imprenditoriale costruttivo che Varese stava interpretando mirabilmente, era favorita ogni forma di industria e l’industria del turismo, fra tutte, era privilegiata; scriveva Carlo Maj: “Vi immaginate che cosa farebbero gli albergatori svizzeri in una zona così?”.
Alle iniziative turistiche fece da volano la costruzione delle tratte ferroviarie e tranviarie; una rete d’avanguardia collegava il capoluogo con i centri limitrofi di Luino, Laveno, Viggiù, Ponte Tresa, Angera, la Valcuvia… Note località di villeggiatura che vennero dotate di strutture edificate in gran fretta e destinate al soggiorno vacanziero di una clientela danarosa, in particolare modo della borghesia milanese.
La tramvia che collegava la stazione di Varese alla salita che si inerpica verso il complesso del Sacro Monte, al bivio con la strada per Velate, fu fornita per un centinaio di metri di un doppio binario, che permetteva l’incrocio tra la vettura che saliva e la vettura che scendeva. In quel tratto fu costruita una pensilina atta a riparare dalle intemperie e dal sole i viaggiatori in attesa, e fu ul gabiòtt dul tram come la chiamavano ancora negli anni cinquanta i bambini di Velate.
Definito “…manufatto tardo eclettico concepito con una sua notevole dignità architettonica”, la sua struttura vede un interessante accostamento tra l’elemento in muratura, agile e slanciato quasi verticaliforme pur nell’assetto a forma di parallelepipedo, e il ferro battuto utilizzato per le inferriate elissoidali che ricordano le inferriate che decorano la palazzina della birreria Poretti; tale accostamento lo può a ragione far ascrivere allo stile liberty sia per l’epoca della realizzazione – lo stile liberty che da Arthur Liberty appunto prese il nome è presente già con vari manufatti all’Expo londinese del 1862 anche se giunge all’apice dello sviluppo a cavallo tra XIX e XX secolo – sia per l’ impiego del ferro battuto con cui sono realizzati i motivi a carattere decorativo, che alleggeriscono l’opera muraria.
La nostra pensilina liberty assolse egregiamente la sua funzione di riparo per passeggeri per oltre cinquant’anni; quando la tramvia cessò la sua attività, era il 31 agosto 1953, pian piano iniziò il degrado. Nonostante sia vincolata dalla Soprintendenza ai beni culturali, è abbandonata a se stessa e all’incuria: erbacce, rifiuti, scritte, incisioni, vetri rotti: il solito squallido copione riservato a oggetti e monumenti che, privati della loro funzionalità, diventano ingombranti, inutili scarti, sino a pervenire alla completa estinzione.
Ma per la pensilina il copione prevede un altro finale: qualche anno fa è entrata a far parte dei Luoghi del cuore del FAI e la delegazione di Varese, insieme al centro culturale di Velate, ha deciso di intraprenderne il recupero per restituire a Varese un pezzo della sua storia. Il notaio Guglielmo Piatti, uno dei promotori del progetto di restauro della pensilina oggi gravemente dissestata, ritiene che il recupero possa avvenire solo dandole una nuova destinazione: non più ul gabiòtt dul tram ma un luogo della memoria un trait d’union tra la storia passata e quella futura: “…La restaureremo, conservando le scritte che i varesini avevano fatto a quel tempo sulle pareti, perché raccontano la storia della città. Abbiamo previsto, oltre al recupero delle vecchie panchine, anche una fontanella per l’acqua: siamo esattamente in confine con il Parco del Campo dei Fiori, in una zona avvolta dal verde e frequentata per piacevoli passeggiate. Alla fontanella, passeggiatori e ciclisti potranno dissetarsi all’ombra della pensilina”.
Non solo un “luogo della storia passata e del vissuto” ma un “luogo di storia attuale e del vivente”.
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