“Come si stava bene una volta” è una frase che si sente ripetere anche da persone che quei tempi non avevano vissuto o avevano fortemente criticato. È giusto? Mah. L’economia cresceva, gli italiani erano ottimisti e facevano ogni genere di lavoro. Le ideologie erano forti e i politici emergenti venivano da una lunga selezione. Ma non era tutto oro quel che luccicava.
È vero però che i vent’anni che abbiamo alle spalle hanno provocato molta malinconia. Siamo entrati in una fase di democrazia più difficile. I processi decisionali sono rimasti quelli di una volta, cioè lenti, mentre la società si è messa a correre. Con la globalizzazione è diminuito e/o cambiato molto il senso di identità territoriale, culturale, politica.
Un certo smarrimento ha pervaso i partiti, i sindacati, le rappresentanze delle organizzazioni sociali. Paradossalmente la politica-sotto-attacco è forse quella che si è mossa di più. Una parte cospicua del Parlamento è cambiata con il 25% di Grillo. Il PD di Renzi ha poi rinnovato profondamente il governo e il suo gruppo dirigente nazionale in attesa di rinnovare anche i gruppi parlamentari e regionali.
Dicono gli osservatori critici che se mancano le idee innovative, una convincente visione della società, un disegno rinnovatore dello Stato non basta sostituire il personale politico per ottenere buoni risultati. Certamente, però non si può negare che sia già cambiato il clima culturale, che siano in arrivo molte novità nel campo pubblico.
Il problema è piuttosto l’impasto burocratico, corporativo, partitico che oppone resistenze fortissime a queste novità. Gli esempi sono tanti sia sul terreno strettamente politico che in quello istituzionale.
Oggi un grande partito di governo deve avere un leader riconosciuto e autorevole. È così in tutto il mondo democratico. Il PD lo ha trovato e ha stravinto alle europee. Vedremo quanto realizzerà. Ma affermare per amore di polemica che Renzi ha trasformato il PD in un partito personale come Forza Italia è irragionevole. Vuol dire rimanere ancorati ai riti delle interminabili discussioni, delle mediazioni pasticciate, dei compromessi al ribasso.
Il Senato è l’esempio classico nel campo istituzionale. Solo alcuni anni fa, quando il progetto di riforma sembrava lontano, era irresistibile la tendenza verso la fine del bicameralismo paritario e verso il Senato delle autonomie territoriali. Successivamente è scattata la difesa del Senato elettivo perfino da parte di coloro che avevano votato decine di documenti dal significato opposto.
Questo atteggiamento schizofrenico di una parte della classe dirigente (non solo politica) è evidente in chi pensa che tutto vada male e tuttavia ritiene intangibile la “Costituzione più bella del mondo”. Come è possibile che, almeno in parte, il cattivo funzionamento delle istituzioni non dipenda anche dal loro obsoleto ordinamento costituzionale?
Quando si affronta una riforma ce n’è sempre un’altra più rilevante e urgente. Così un giorno è importante la governabilità e il giorno dopo si difende il proporzionalismo puro che ne è l’antitesi. La democrazia, se per troppo tempo non è una democrazia governante, diventa liturgia inconcludente, s’indebolisce e perde consenso.
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