Su e giù come in altalena: solo due settimane fa all’assessore Clerici vengono assegnate nuove importanti deleghe e giovedì in consiglio si intuisce chiaramente che l’indomani verrà dimissionato. Ma lo stesso Clerici il mercoledì dichiara apertamente alla stampa il proprio pentimento per avere messo in difficoltà il “suo” sindaco e il partito di appartenenza, riservando ampi elogi per entrambi, e il giorno immediatamente successivo non esita a definire, sempre a mezzo stampa, quello stesso sindaco un uomo poco coraggioso e il proprio partito subalterno a diktat imposti da pochi in quel di Gallarate.
Il caso Clerici, l’ennesimo per la verità, si è aperto dopo le esternazioni del giovane assessore varesino nei confronti dei cittadini che sabato 29 novembre si erano raccolti in una manifestazione pacifica per le vie di Varese, ad esprimere indignazione per lo sfregio alla memoria delle vittime della battaglia partigiana del San Martino. Per Clerici quei trecento manifestanti erano dei “morti viventi”, delle “zecche di indubbia provenienza”, dei “poveri cristi che al sabato hanno poco da fare”. Epiteti e giudizi senza margine di errore interpretativo: pronta è stata la reazione di tutti coloro che si riconoscono debitori nei confronti di chi ha costruito la cultura democratica nel nostro Paese, ma altrettanto netta e decisa quella delle forze politiche del centrodestra, che hanno preso le distanze dalle parole dell’assessore targato Forza Italia.
La scarsa dimestichezza di Clerici col “parlar civile” era già emersa in altre occasioni. Emblematica quella accaduta in piena estate quando non aveva lesinato commenti sommari e irrispettosi nei confronti delle due giovani volontarie rapite in Siria. “Avrebbero fatto meglio a stare a casa a giocare con la Barbie” aveva sentenziato, immiserendo l’impegno umanitario delle sue quasi coetanee e spostando la colpa di quanto accaduto ad una loro presunta irragionevolezza. Anche allora c’era stata una levata di scudi da parte delle opposizioni che avevano chiesto le dimissioni dell’assessore. Ma tutto era rientrato, in nome di un silenzio ritenuto necessario a tutelare la vita delle ragazze.
Non mi è dato sapere cosa sia accaduto da agosto ad ora nelle segrete stanze del centrodestra: fatto sta che di “tirate d’orecchie” per la disinvoltura con cui il giovane politico varesino trancia giudizi devono avergliene fatte ben poche se, col recente rimpasto di giunta dopo l’allontanamento del vicesindaco Baroni e l’entrata dell’UDC nella maggioranza di governo cittadino, Clerici è stato premiato con incarichi amministrativi ancora più ampi di quelli che già aveva.
Fino all’epilogo di questi giorni. L’insulto alla memoria collettiva, a chi difendeva i valori della libertà e della democrazia, l’atteggiamento spavaldo e provocatorio proprio di chi si sente in una botte di ferro è stato troppo per tutti.
Le dichiarazioni di Lara Comi, che esprimeva solidarietà alle persone offese e chiara distanza dal “clericipensiero”, hanno fatto subito intuire che la débacle del rampollo targato Forza Italia sarebbe stata vicina. La palla, passata dall’onorevole forzista al sindaco di Varese, non ha lasciato dubbi circa il fatto che la partita si sarebbe dovuta giocare tutta tra le mura di Palazzo Estense. E così è stato. Il forzista Puricelli, se pur lontano dai patri lidi, ha messo fine all’incarico assessorile del giovane politico, per quanto la decisione ultima sia toccata al sindaco del capoluogo.
In un consiglio comunale dove si respirava l’aria del trasloco ma nessuno fiatava, ci ha pensato l’assessore leghista Binelli a definire Clerici, nel corso di un intervento, un ex assessore. Lapsus? Messaggio subliminale? Scelta consapevole di dire “pane al pane e vino al vino”? Poi la decisione di rinviare alla settimana successiva la prosecuzione del consiglio con un rientro a casa forzato dalle circostanze: il sindaco Fontana, dopo una riunione di giunta prima dell’inizio dei lavori e una interruzione di dieci minuti a metà seduta per riunire i capigruppo, ha esplicitato che il giorno immediatamente successivo avrebbe risolto la vicenda. Risoluzione che è stata unanimemente tradotta come un “the end” : ritiro delle deleghe e nuovo assessore.
Una giunta che si credeva solida e destinata ad arrivare spedita sino alla fine del mandato, che scadrà nella primavera del 2016, in poco tempo ha invece perso per strada i propri pezzi. Il vicesindaco Baroni ha pagato lo scotto dello schieramento politico del Nuovo Centrodestra in occasione delle elezioni per la provincia. L’assessore Angelini ha mantenuto il proprio incarico solo dopo avere, in un batter d’occhio, cambiato partito di riferimento. Ma quelle sono state questioni partitiche, distanti mille miglia dalle esigenze della gente, ma altrettanto lontane da colpevolezze personali delle persone coinvolte.
Clerici se ne va per ragioni ben diverse, ascrivibili solo alla sua mancanza di responsabilità amministrativa. Clerici se ne va perché dimentico del fatto che essere un amministratore non significa capeggiare un drappello di vincitori cui tutto è permesso.
Questo dicono il diniego dei referenti politici di Forza Italia, l’imbarazzo palpabile dei consiglieri e degli amministratori sodali nella maggioranza di governo, il silenzio tenuto sulla questione nell’aula consiliare dalle opposizioni, che hanno lasciato, com’era giusto che fosse, che i panni fossero lavati e risciacquati “in casa centrodestra”.
Non nell’Arno, come quelli manzoniani, ma nell’Olona. Ma pur sempre risciacquati.
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