Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Cultura

LA LUCE DI ANTIME

MASSIMO LODI - 28/11/2014

Antime con quadro 300Non per raccontare la solita banalità, o per offrire comodo appiglio alla retorica, ma oggi che viviamo un’epoca di grigiori e oscurità, cupezze e tenebre, ci sarebbe d’aiuto – ci darebbe conforto – il suo genio solare, il suo tocco di luminosità, il suo colorato ottimismo.

Roba magica: il fruscio del pennello, la realtà che si rischiara, e l’animo che trova conforto. Massimo Antime Parietti fu soprattutto questo: un mitigatore d’affanni. Non sapeva d’esserlo, però lo faceva sapere. Attraverso i quadri: interpretazioni della natura, letture di volti, impressioni subitanee, forti, incisive. Catturava il cuore, prima che la ragione, con la capacità d’intessere quel filo d’armonia che solo i capolavoristi cuciono tra sé e gli altri.

La sua terra nativa, Bosco di Montegrino Valtravaglia, gli dedica – per iniziativa degli “Amici del Piccio”, l’associazione presieduta da Carolina De Vittori – una targa in memoria dei cent’anni dalla nascita. Cerimonia alle 10.30 a Ca’ d’Maté, dove resiste la casa natale, con i mattoni venati dal tempo, l’arco d’ingresso d’anticheggiante segno, il verde brillante della valle che incornicia il quadro. “Incornicia” e “quadro” non è un dire a caso: Antime fece anche di questo scenario la materia del suo dipingere. Le radici non le scordò mai, e le raccontò nell’unica maniera che conosceva: riproducendone il timbro, più che i dettagli: i profumi, i sapori, le umoralità. Le radici gli davano quiete. Spiegò una volta: quando guardo i miei luoghi, mi prende una voglia di silenzio. Poi subentrano il disegno, il colore, i profili e le particolarità. Infine arriva la pacatezza. E’ il momento in cui trovo requie alla furia che mi ha preso.

La furia era l’ispirazione, parola troppo impegnativa per un semplice come lui: non gliela si sentì mai usare. Per modestia, umiltà, pudore: una piccola virtù da grand’uomini. Antime, nato il 18 dicembre del ’14, aveva iniziato presto a dipingere: dodicenne, fece apprendistato a Milano col maestro Leonida Biraghi, seguì i corsi tenuti a Brera da Aldo Carpi, e quando fu ventenne si prestò a realizzare cicli pittorici e affreschi in chiese ed edifici pubblici e civili, lavorando al di là e al di qua del confine francese. Dopo un’avventurosa esperienza in Albania, dove eseguì decorazioni nel palazzo del re Zogg e nella chiesa dell’ospedale militare, si trasferì in Svizzera. Qui – condotte a perfezione le tecniche a olio, pastello e tempera – cominciò ad esporre in rassegne collettive e personali, incoraggiato dal convinto sostegno di Cuno Amiet, uno che se ne intendeva.

La critica si dichiarò subito unanime nel definirlo “pittore di luce”. Un’inclinazione al chiarore, al brillio e ai bagliori connaturata alla sua indole ottimistica e bonaria, rassicurante e generosa. Quasi che fosse epigono -da maestro rifuggente al meritato appellativo- dell’opportunità di cogliere e perpetuare il marchio di giovinezza contenuto nell’Antico Testamento: dolce è la luce, e agli occhi piace vedere il sole.

Piacque anche a lui il vederlo, incoraggiato nella ricerca del fulgore rasserenante dagli amori della sua vita: la prima moglie Marie Louise, e, un po’ d’anni dopo la sua scomparsa, la seconda compagna d’un felicissimo esistere, Gabriella. E’ lei che conserva la memoria del marito-artista, presa dalla sua identica e dirompente vitalità: ne ha già consegnato ai posteri il ricordo con alcune mostre, e la prossima è prevista nel marzo prossimo al museo Parisi Valle di Maccagno. Titolo di possibile fantasia, mutuato dall’adieu al vivere di Goethe: “Più luce!”. Mehr Licht!. Chissà.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login