L’agenzia ONU per i cambiamenti climatici (IPCC) nella sua ultima riunione tenuta a Copenhagen il 2 novembre ha chiaramente definito il curriculum previsionale e le conseguenti decisioni da prendere in merito: il rilascio da gas serra causato dal consumo di combustibili fossili dovrà essere azzerato entro la fine del secolo, pena le estinzioni di specie, la scarsità preoccupante di cibo e tutta una serie di conflitti, mentre già si palesano sempre più i fenomeni d’aumento di livello dei mari, scioglimento di ghiacci ed eventi meteo estremi.
Le emissioni globali sono ancora aumentate e non si sono mai raggiunti livelli così alti nel corso di 800mila anni nella vita del nostro pianeta. Si tratta di un problema non più scientifico, bensì politico. Fatto è che bisogna investire in una fase d’emergenza come l’attuale centinaia di miliardi di dollari l’anno in energie alternative. Seguiranno in dicembre negoziati in Perù sino alla Conferenza di Parigi di fine 2015. Questi i Paesi maggiori inquinatori, nell’ordine: Cina, Usa, India, Russia, Brasile, Giappone, Indonesia, Germania, Corea del Sud, Canada (per una percentuale del 64,03% delle emissioni totali).
L’innalzamento della temperatura delle acque artiche, a causa del riscaldamento globale, ha già alterato sensibilmente gli effetti della mitica Corrente del Golfo: conseguenze positive una pesca sempre più abbondante, un turismo incrementato nella regione artica e subartica, un’accessibilità maggiore alle materie prime; ben più preoccupanti quelle relative al deterioramento di un sistema consolidato da lunghissimo tempo. Si pensi per esempio che entro trent’anni i venticinquemila orsi polari all’incirca censiti si ridurranno a non più di seimila. Se la temperatura mondiale aumenterà di più di due gradi rispetto all’epoca preindustriale già si ipotizzano conseguenze catastrofiche.
Tra i rimedi suggeriti lo stoccaggio di anidride carbonica nel sottosuolo, l’introduzione di una carbon tax, un sistema di promozione per le energie rinnovabili non ancora competitive con un finanziamento a livello comunitario, che non prescinda da un’attenta e rigorosa selezione delle proposte, in considerazione dell’esistenza di potenti interessi e lobby, che sta dietro lo sviluppo delle rinnovabili. Certo è che le proiezioni dei consumi energetici cambiano in funzione dell’economia, del clima, degli scambi commerciali.
Nel Consiglio europeo (pacchetto clima-energia) si era deciso per il cosiddetto obiettivo da conseguire entro il 2020: 20-20-20 e cioè meno 20% nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990; +20% d’accrescimento dell’efficienza energetica; + 20% del contributo peri fondi energie rinnovabili, il tutto con trasformazione degli obiettivi da indicativi a vincolanti. Questi i nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2030: -40% nelle riduzioni di gas a effetto serra, +27% delle rinnovabili nei consumi totali dell’UE, incremento del 25% per quanto concerne l’efficienza energetica.
Al contempo si impone sempre più all’attenzione il problema dell’acqua. Nel Sudest del Brasile si è determinata la più grande siccità della storia. Il fenomeno impensierisce San Paolo. E prosegue la distruzione della vegetazione con decenni di riduzione della foresta amazzonica; per il 20% la foresta originaria è ormai scomparsa.
Per tutti questi motivi le sfide ecologiche sono ormai entrate nella sfera della Dottrina sociale della Chiesa, della morale, perché la deturpazione del mondo risulta anche una contestazione del progetto di Dio. Si tratta della base materiale dell’esistenza sul nostro pianeta. In un discorso alla Fao già Paolo VI si rifaceva al legame sempre più stretto che corre tra crisi alimentari, modelli di sviluppo economico e il necessario rispetto della terra, col corollario che i beni e i frutti di questo mondo sono stati creati per tutti e quindi nessuno ha il diritto di riservarli esclusivamente per sé. In Paolo VI è risultata via via sempre maggiore la consapevolezza delle questioni ecologiche di contro ai contraccolpi della civiltà industriale. L’Octogesima Adveniens del 1971 denunciava lo sfruttamento sconsiderato della natura. Nel 1972 si chiariva come il problema dell’ambiente non si potesse affrontare con le sole misure di ordine tecnico.
Giovanni Paolo II ha sottolineato il legame che intercorre tra salvaguardia dell’ambiente e mantenimento e promozione della pace. Da richiamare alla memoria la deplorazione delle pratiche di distruzione correnti (Madagascar 1989 – Sahel 1990) a favore della protezione del patrimonio forestale e della lotta contro la desertificazione e l’impoverimento dei suoli.
Parallelamente anche l’ecumenismo ha sviluppato una svolta nell’ambientalismo (vedi l’Assemblea ecumenica europea del 1989). A Venezia Giovanni Paolo II e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I hanno chiamato in causa la necessità di un’urgente conversione degli stili di vita. Questo nei termini di una prospettiva antropologica ed escatologica.
Benedetto XVI ha voluto anche simbolicamente l’impianto di pannelli solari in Vaticano e ha proposto che il modello di sviluppo umano deve onorare l’integralità delle sue dimensioni. Nella visita al Parlamento tedesco ha parlato di ecologia dell’uomo nella direzione dei principi di libertà, responsabilità, sviluppo integrale.
Per quanto riguarda Papa Francesco ha colto nell’ambiente uno dei campi in cui si realizza la vocazione umana al custodire l’intero creato nella sua bellezza. Il creato è un dono. Il rapporto falsato con la terra è tipico del mondo occidentale.
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