Il giornalista Luigi Barion è il “luogotenente” di Garibaldi a Varese, l’uomo che ha ricordato alla giunta Fontana i trascorsi patriottici della nostra città e che ha indotto Palazzo Estense a riaprire il museo del Risorgimento a Villa Mirabello. Sa bene che il cinquantaduenne Nizzardo incontrò a Robarello sulle pendici del Sacro Monte la marchesina Giuseppina Raimondi di soli diciotto anni, che la sposò il 24 gennaio 1860 e scoprì due giorni dopo che lei era già incinta di un bel cavalleggero di Saluzzo: gli ci vollero poi vent’anni di carte bollate per annullare il matrimonio e legittimare i figli avuti nel frattempo dalla balia piemontese Francesca Armosino. Barion non si scompone: “Il Generale con le donne era un po’ facilone. S’innamorò della marchesina e lei si rivelò più pericolosa di un assalto austriaco alla baionetta, ma il grande amore per Anita lo riscatta”.
Lo storico Mino Mulinacci ha scritto che “il Garibaldi privato, con le sue debolezze e la sua accesa sensualità, non impacciò mai il Garibaldi patriota e combattente” e il nostro giornalista è d’accordo. Non basta un piccante retroscena a scuotere le certezze di chi ha tenuto alta la bandiera del Risorgimento a Varese in anni difficili.
Barion è riuscito a portare il sindaco Fontana a Roma per inaugurare il cippo commemorativo dedicato agli eroi varesini Daverio, Dandolo e Morosini. “Prima c’era stata incomprensione – ricorda – io, Ambrogio Vaghi e Angelo Monti avevamo proposto a Fontana la presidenza del Comitato 26 Maggio 1859 per il centocinquantesimo anniversario della battaglia di Biumo, ma il sindaco rifiutò e allora ci rivolgemmo all’avvocato Giovanni Valcavi che, forse scambiandomi per il Re, rispose “obbedisco”.
“Poi Fontana ci ha stupito partecipando all’inaugurazione del cippo e siamo stati contenti. Erano presenti il primo cittadino di Roma con i gonfaloni delle due città e della provincia di Varese. Credo che in cuor suo si sia convinto della bontà dell’iniziativa perché nessuno, al Gianicolo, aveva potuto aggiungere fino ad allora una sola pietra nel giardino storico risorgimentale. Pensate che per ottenere i permessi necessari sono dovuto passare per il Comune, la Circoscrizione, le Belle arti, il Ministero della difesa… Quel cippo è un orgoglio per la nostra città. Molti varesini che di recente sono andati a Roma per la beatificazione di Paolo VI hanno approfittato per fare un salto al Gianicolo e si sono sentiti fieri di essere varesini”.
Ma è giusto insistere tanto con la causa garibaldina? Il messaggio è ancora attuale? “Io credo proprio di si – risponde Barion – è importante insistere con i giovani perché il 26 maggio 1859 accadde a Varese qualcosa di unico e forse d’irripetibile. A differenza di quanto accadde in altre città lombarde divise tra austriacanti e savoiardi, Varese si strinse in un unico slancio e anche il clero non nascose di parteggiare per Garibaldi. Per una volta tutti uniti e stanchi dell’occupazione austriaca. Oltre all’amor di patria, l’epopea garibaldina insegna i valori dell’amicizia e della solidarietà in un’epoca, come la nostra, dove l’egoismo regna sovrano ed è dunque molto attuale”.
Garibaldi a parte, Barion è un personaggio dai molti interessi. Appassionato d’arte, ha diretto per anni la galleria La Bilancia di Varese e ha una lunga esperienza giornalistica, ha fondato Radio Gavirate, diretto l’emittente televisiva La6 ed è stato tra i primi collaboratori di artevarese.com. “L’esperienza alla galleria d’arte mi ha dato tanto – spiega –. All’inizio degli anni settanta organizzai la rassegna “Venezia ’73, domani come ieri” raccogliendo a Varese quaranta artisti tra cui Guttuso, Remo Brindisi, Cantatore, Fieschi, Giò Pomodoro che donarono ciascuno un’incisione o una litografia poi riprodotte in cento esemplari con la prefazione di Piero Chiara. Li donai all’Unesco per una serata di gala al Palazzo Ducale e ricavammo 800 milioni con i quali fu restaurata la facciata della chiesa veneziana di Santa Marta. È un risultato di cui sono fiero”.
Da esperto d’arte, Barion ha le idee chiare anche sui pericoli che corre la Fuga in Egitto di Renato Guttuso alla Terza Cappella se non si farà qualcosa per metterla in sicurezza: “L’acrilico rischia di fare la stessa fine dell’affresco del Nuvolone – osserva preoccupato –. Gli esperti della Soprintendenza non hanno preso in considerazione il suggerimento di non consumare tra un restauro e l’altro la manualità di Guttuso. Il cinquanta per cento ormai non c’è più, ci sono altre mani, invece l’acrilico andava messo sotto vuoto tra due cristalli. Con i materiali sintetici queste cose possono accadere. Del preesistente affresco del Nuvolone non era rimasto quasi più niente. Monsignor Macchi ebbe la lodevole iniziativa di trovare i soldi per i restauri ma ora è Guttuso a rischiare. Bisogna salvare il salvabile”.
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