La vista migliore sulla “cidade maravilhosa” me l’ha offerta il morro di Rocinha, peccato per il po’ di foschia. Trentacinque gradi, formicaio di case improvvisate tra la foresta e l’asfalto, grattacieli di prima classe, spiaggia. Se c’è una cosa che le città brasiliane non hanno è l’omogeneità. Ma in questa totale irregolarità architettonica, in questo caos sociale e antropologico, lo squilibrio non sbava, le distanze create dall’urbanizzazione selvaggia non stonano, fanno parte del quadro. Non puoi visitare Rio e dimenticarti delle favelas.
A Rocinha non volano più aquiloni da qualche mese, si sentono solo i botti dei petardi quando arriva la polizia. Risalgo il morro, sudata, e capisco perché le brasiliane hanno fondoschiena così sodi. Sono in compagnia di Carlo, ventinove anni, coordinatore di un progetto sociale per una ONG italiana a Rocinha; mi guida tra i vicoli che si fanno strettissimi, abitati da duecentomila brasiliani, altrettanti topi e scarafaggi. La vista è indimenticabile, l’odore di fogna e di galline stipate nelle gabbie, ripugnante.
Duecentomila vite sono ammassate in questa “città dentro la città” e che quasi si sovrappone al resto della metropoli, dove c’è tutto vicino a tutti, tutto per strada, tutto visibile. Droga, sesso, merda, centro estetico, poste, banca, bar, mercato, ristorante, festa funky come se non ci fosse un domani. Perché uscire da qui? c’è tutto! Esci se fai la donna delle pulizie in qualche palazzo del centro o se hai qualche gancio per rimediare un po’ di soldi.
Prendiamo un caffè, il mio solito codice di comunicazione. Li vedi quei ragazzi sulle sedie gialle? È una bocca di fumo, loro sono i trafficanti. Passiamo oltre, non entriamo nelle zone più pericolose, meglio se non fai foto qui. Ma è un “boa tarde” dopo l’altro, tutti ci salutano calorosamente, le donne a ogni angolo facendo la manicure, partitelle di calcio e magliette gialle, bandierine e decorazioni patriottiche, pantaloncini cortissimi che lasciano intravedere corpi abituati a ballare samba per strada in modo inimitabile, graffiti che sono opere d’arte. Proprio il Brasile che ti immagini.
Nella “città meravigliosa” puoi godere di un tramonto da cartolina salendo con la seggiovia sul Pão de Açúcar, scattare una foto in mezzo ai turisti sbracciati imitando il Cristo Rei che sovrasta la città, bere un’acqua di cocco a Copacabana oppure prendere un caffè nella più grande favela dell’America Latina.
Usciamo da Rocinha per continuare la serata in leggerezza, pur consapevoli che metteremo a dura prova la nostra timidezza in mezzo a una roda de samba per strada a Lapa ma ignari che impiegheremo tre ore e mezzo ad arrivarci in bus per via del traffico congestionante (altra tipicità della cidade tropical). A Rocinha intanto si accendono le luci in ogni casa. La bellezza panoramica dei becos (vicoli stretti) nella favela dei piccoli orti – orto in portoghese si dice roça, da cui rocinha – resiste al pregiudizio e alla paura di molti, fuori, in città.
Di giorno quadri di Mondrian, di notte un presepe vivente sempre lì, a ricordare il fascino e la deformità del cuore pulsante carioca.
Rio, sei meravigliosa.
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