“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolto” – “A quanti però l’hanno accolta ha dato il potere di diventare figli di Dio”: queste due espressioni del Vangelo di Giovanni, che si richiamano vicendevolmente, possono introdurci al tempo di Avvento, che è iniziato domenica scorsa.
In molte chiese è stata accesa la prima delle candele che indicano altrettante date del cammino verso il Natale.
Alcuni zelanti liturgisti non dimostrano eccessiva letizia per la “corona d’Avvento”: dicono che non è un segno liturgico, ma solo una tradizione che proviene dal mondo della riforma protestante. Hanno in parte ragione: quel simbolo non è un segno che esprime il Mistero, ma la liturgia è fedele anche all’umanità, agli uomini e alle donne del nostro tempo che comprendono i messaggi più attraverso i “segni” che non attraverso le “parole”. Gesù, infatti, parlava con parabole e annunciava la buona novella con “segni” umani (pane, vino, acqua, fango, imposizione delle mani…) senza ostentare posture ieratiche e sacrali, senza indossare paramenti sontuosi e barocchi (solo durante l’ultima cena si cinse il grembo con un grembiule!).
La “corona d’Avvento”, anche se originaria dalla riforma, è un segno, oltretutto, ecumenico che riunisce nel mistero del Natale cattolici, protestanti, anglicani. Penso che questo segno, così umano e semplice possa diffondere un anelito di mistero: l’inverno oscuro, i ceri ardenti, il cui numero cresce di domenica in domenica, simboleggiano l’oscurità che si allontana, finché, nel nostro rito ambrosiano, tutte e sei saranno accese: la pienezza del tempo apparirà allora nella luce.
Mentre la fiamma si fa progressivamente più splendente, nell’ombra che avvolge le giornate più corte dell’anno, la cera si scioglie. Nell’attesa, anche gli animi si consumano. Nella luce che aumenta, cresce la speranza e quando, nella notte santa, tutti i ceri saranno accesi, risorgerà la luce splendente del Natale. Si attenderà quella notte vegliando. Si abbandonerà la dolcezza della casa e ci si avvierà verso la chiesa in mezzo all’oscurità e alla nebbia che avvolgono le strade. Ricorderemo che Dio si è fatto uomo nella notte perché noi potessimo credere che Egli può illuminare qualsiasi tempo. Quella notte è un nuovo principio. Dai fondali dell’anima saliranno e si ingigantiranno le ombre, ma nella luce tutto riacquisterà la sua dimensione.
Cadranno le maschere e ogni uomo, davanti al Bambino nato e al pane spezzato condiviso da tutti nel vincolo della carità, apparirà quello che è: povero di relazioni autentiche e di veri sentimenti, nudo d’amore, assetato di concordia.
Le tenebre che sembravano avere il sopravvento nel mondo – l’odio, la guerra, la fragilità, la fame, l’ingiustizia, la persecuzione – saranno squarciate dalla luce.
Durante il nuovo anno, che presto giungerà, si accenderanno altre candeline: quelle sulla torta dei compleanni, quella della “Candelora”, quella, tremula e solenne, della veglia pasquale, quelle del Battesimo. Esse segneranno il tempo che trascorre e la nostra incapacità di viverlo in pienezza. Sforzandoci di accettarlo nella sua realtà, il “passato” da rievocare senza rimpianti e nostalgia, trasmettendolo ai figli e ai nipoti, diventerà “presente” da vivere per preparare il “futuro” che sta oltre la frontiera della morte, “nell’attesa della Sua venuta”.
You must be logged in to post a comment Login