Le travagliate vicende cittadine delle ultime settimane e mesi – dalle ere geologiche necessarie ad approvare il nuovo PGT, alla rinuncia al nuovo teatro nell’ex caserma Garibaldi, sino alle improvvide grida assessorili contro le volontarie italiane rapite in Siria, al blocco del taglio dei calocedri dei Giardini Estensi e alla sospensione dei lavori per il parcheggio sotterraneo alla Prima Cappella, per finire con l’espulsione degli esponenti del Nuovo Centrodestra dalla giunta comunale – hanno fatto riemergere in città animate dispute sul nuovo sindaco di Varese, dato che al rinnovo elettorale manca ora solo un anno e mezzo. Sulla stampa ma soprattutto sui social network il dibattito è esploso tra invettive, vaticini, utopiche speranze, nostalgie dei tempi che furono.
È partita la caccia al tesoro di una mitica personalità, d’altissimo e indiscutibile profilo, che sappia mettere tutti d’accordo per salvare Varese dal baratro desolante in cui è sprofondata. Taumaturgo pantocratore, demiurgo onnisciente e onnipossente, salvatore della patria varesina, questo ancora ignoto eroe santo navigatore della barchetta comunale fatica a profilarsi all’orizzonte. Un wishful thinking popolare, pensiero ardentemente desiderante, che manifesta certo spiriti d’amore per il destino della città, ma anche spettri di sostanziale qualunquismo, come se le sorti del “comune” di Varese dovessero e potessero dipendere dalla forza carismatica di “un uomo solo” al comando, come già nel recente passato si è favoleggiato di fantomatici sindaci-borgomastri di celtica egida.
Certo, la personalizzazione della politica dell’ultimo ventennio e il rigetto viscerale delle macchine burocratiche – muri di gomma hanno finito per delegittimare tutto ciò che sa di istituzione impersonale, enfatizzando nel contempo l’investimento emotivo, ma anche razionale, sull’individuo energico, libero, capace, intraprendente, in rapporto diretto ed esclusivo con il “popolo” che gli dà il consenso, e conferisce mandati senza limiti.
Ma la conseguente deriva populistica sottovaluta che qualunque personalità significativa può emergere solo nel contesto e in relazione continua con un gruppo sociale che vi concentri le sue ricchezze e ne determini la qualità, e che solo mantenendo quella rete di relazioni di valore può alimentarsi costantemente, produrre ed esprimere energia e creatività. Senza contare che un contesto operativo articolato e complesso come un Comune medio, quale è Varese, può funzionare solo attraverso una squadra affiatata ed efficiente, che diffonda capillarmente quella energia e quella creatività. E facendo perno su di un programma esauriente e innovativo, preparato per tempo e ampiamente condiviso con i cittadini e con le tante realtà aggregative della città. Senza questo humus socio-culturale-politico il “virgulto del miracolo” di governo non cresce, e nemmeno nasce.
Comunità cittadina di riferimento, piano-programma e squadra di governo sono quindi le priorità per un nuovo governo di Varese, e meriteranno distinti approfondimenti in ulteriori occasioni.
Qui merita rilevare, per tratti “impressionistici”, come sia sorprendente che questa idea del sindaco carismatico venga riproposta non solo dal classico “uomo della strada”, ma anche da esponenti delle forze del risveglio civico di Varese, nonostante tradisca un sottofondo arcaico-paternalistico da Uomo della Provvidenza, quando non arcaico-autoritario – e francamente ridicolo nel contesto odierno – del “faso tuto mi”.
La sostanza antidemocratica dei presupposti ideologici della pretesa risolutiva del carisma si rivela anche nel rovescio della medaglia: la concezione miserrima del consiglio comunale come necessariamente asservito al sindaco-leader, con la giunta comunale come partner per delega di onnipotenza dal capo carismatico. Ma nel nostro ordinamento giuridico-amministrativo sindaco e giunta sono gli organi “esecutivi”, mentre il consiglio è l’organo “deliberativo”, cioè decisionale. Che poi la realtà dell’ordinamento “materiale” italiano abbia invertito le attribuzioni di legge e veda i consigli costantemente espropriati da sindaci-giunte, e che in seno alle giunte si consumino accordi di potere magari inconfessabili, è una delle più importanti ragioni per cui i cittadini si sono allontanati dalla politica anche a livello locale, e per cui la politica può combinare disastri.
Achtung al sindaco-borgomastro! Vicino a noi, o come Fumagalli fu sonno della ragione, o come Fontana rischia di essere – al di là delle buone intenzioni di una figura di gentiluomo, dignitosa e signorile – una foglia di fico per il magma informe della mediocrità.
A Varese come nel resto d’Italia servono sindaci che sappiano essere realmente figure di servizio, al servizio delle comunità e dei loro rappresentanti nei consigli comunali. Che abbiano il fulcro del loro impegno nell’attuare le politiche del rispettivo consiglio comunale, traducendole in atti di governo in seno a giunte scarne ed essenziali, unitarie anziché frazionate in accozzaglie di “amministratori delegati”, che imperversano da satrapi nel loro pezzo di “federazione di repubbliche indipendenti” cui riducono i Comuni. E che sappiano responsabilizzare le dirigenze locali ad essere in primo piano nel sostenere le ragioni tecniche delle scelte esecutive, senza essere umiliate e compresse in ruoli da comparsa di filmacci di serie B.
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