Un’amica faceva qualche sera fa alcune riflessioni sulla nostra città e sul paesaggio da cui è circondata. Ricordava che Stendhal tra il 1811 e il 1828 venne diverse volte a Varese. Guardando dal Sacro Monte scrisse a un amico “ …Godere della vista. Insieme magnifico; al calar del sole vediamo sette laghi. Credetemi, amico mio, si può percorrere la Francia e la Germania senza godere di queste sensazioni”.
Giacomo Leopardi in una lettera alla sorella Paolina del 7 settembre 1825: “Sono invitato a Varese dal conte Tullio Dandolo figlio del senatore… Varese è Versailles di Milano”. Ancora Charles Lemercier nel 1835 afferma : “Questa città sta a Milano come Tivoli stava a Roma”. Nel 1843 Henry Taylor ufficiale e drammaturgo, incantato dal lago scrive un poema il cui inizio è: “Ho sostato accanto al lago di Varese / tra vigneti e campi di mais in rigogliosa crescita / e colline che lentamente degradano / su cui la terra brulicante di vita, / riversa zolle fertili che richiedono / il tributo dell’umana fatica. / Il sole al tramonto non più abbaglia / ma brilla e riversa sulla terra / luci di dolce chiarore”.
In questa bellezza Giuseppe Verdi nel 1842-43 educa alla musica le numerose figlie della famiglia Morosini proprietaria di Villa Recalcati, mentre sta terminando la composizione del Nabucco e avvia la composizione dei Lombardi alla prima Crociata, i suoi primi grandi successi. Nel 1874 alcuni imprenditori varesini, Biroldi, Garoni, Limido acquistano la villa e la trasformano nell’Hotel Excelsior frequentato da imperatori di Germania, dal presidente degli Stati Uniti Grant, dalla regina Margherita. Poi da altri famosi personaggi, tra cui anche D’Annunzio e la Duse.
La bellezza, l’accessibilità di Varese tramite le ferrovie e il servizio tramviario favoriscono ambiziosi progetti imprenditoriali. Tito Molina con la “Grandi Alberghi” di Milano realizza sulla collina dei Campigli il complesso del Palace con il teatro e il Kursaal. Sulla vetta del Campo dei Fiori l’Hotel che ancora oggi ammiriamo nel suo abbandono. La nostra montagna più preziosa diventava accessibile con il sistema di funicolari coordinato con il sistema tramviario.
Poi la tragedia della guerra 1914-18 e la sostanziale fine di un periodo, forse felice, di vicinanza europea di vita. Con la decadenza progressiva dell’accoglienza alberghiera nell’area varesina. Poi il Ventennio, la città elevata a Capoluogo. La nuova guerra. La pace, la ricostruzione, lo sviluppo sfrenato dell’attività edilizia. Un piano regolatore della città che ipotizza volumetrie per settecentomila abitanti. Le industrie ammirate dell’area varesina che scompaiono.
Ma negli anni ’90 l’avvio della presenza universitaria. Nuove speranze senza un progetto per un futuro ancora da immaginare. Una realtà provinciale articolata in due parti. Il mezzogiorno caratterizzato da intensa attività industriale. Il nord disperso fra i laghi e la montagna, in un rapporto di provvisoria utilità con il Canton Ticino.
È mancata una ‘politica’ provinciale gestita dall’istituzione preposta. È mancata al Capoluogo la consapevolezza del ruolo che poteva e che può assumere. Esemplare e negativa è stata la vicenda dei PGT che ciascuna amministrazione comunale ha gestito in proprio con separate previsioni di impiego del territorio di competenza comunale.
La bellezza dei nostri luoghi ammirati ed amati nel passato pare non avere più rilievo né ruolo possibile. Ma molto può ripartire da nuova consapevolezza di questa bellezza in grande misura recuperabile. Occorre soprattutto che il Capoluogo si renda conto che è possibile assumere iniziative adeguate di proposta alle comunità sparse e disperse nel territorio con forme di collaborazione rispettose delle comunità esistenti. Che si propongano obiettivi e un ruolo comune del’area varesina. Individuando le eccellenze ancora presenti e la necessità della loro valorizzazione. Con particolare riguardo alle presenze significative e storiche. Attrattive e incidenti anche in termini di ricaduta positiva sull’economia territoriale.
I monti e in particolare il Sacro Monte devono essere sottratti alla banalizzazione veicolare. La loro accessibilità deve essere adeguata alla necessità di non offendere la loro bellezza, il loro significato storico e la loro attrattività rispettosa che anche oggi deve essere garantita.
I nostri laghi, la loro difesa ambientale, la protezione e l’offerta della loro storia. I rapporti di un passato comune con il Canton Ticino da riprendere oggi in termini che non siano di pura convenienza frontaliera. Fare di questa nostra area prealpina un luogo di armonie esemplari fondate su una collaborazione creativa civile, che promuova la riorganizzazione di quanto è stato nei decenni recenti improvvisato nella reciproca noncuranza di autonomie anacronisticamente gestite. Che definisca un ruolo a una bellezza che la natura ci ha donato: un ruolo culturale, sociale ma anche di rilievo economico che ne conseguirebbe. Rifiutando di continuare a vivere giorno dopo giorno senza ambizioni.
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