Come accade nelle città d’arte, una “bottega” di restauratori varesini si è tramandata il sapere di padre in figlio. Piero Lotti prosegue il cammino tracciato dal padre Carlo Alberto che studiò il Sacro Monte di Varese, scrisse libri e curò i restauri delle Cappelle al fianco di monsignor Pasquale Macchi. Basterà citare l’accuratissimo Santa Maria del Monte sopra Varese – Il monte sacro Olona e il Sacro Monte del Rosario, che Lotti pubblicò per il giubileo del duemila (Silvana Editoriale, Milano). Nel prezioso volume, l’autore scomparso nel 2007 in un incidente stradale ricostruisce la storia casa per casa, quasi ciottolo per ciottolo, di Santa Maria del Monte e del viale delle Cappelle.
Da ormai trent’anni anche il figlio Piero opera nel settore del restauro dei beni culturali sotto l’egida delle Soprintendenze: ha organizzato mostre e convegni per il quarto centenario della Via Sacra e ha rappresentato Varese nella conferenza permanente dell’Unesco per i Sacri Monti piemontesi e lombardi. Da un mese è il nuovo direttore del Chiostro di Voltorre con obiettivi ambiziosi: “Sto lavorando – spiega – all’organizzazione in primavera di una mostra per il ventennale dalla ristrutturazione del chiostro: 1995-2015, vorrei ripartire da lì, celebrare la vocazione a polo espositivo d’arte contemporanea a vent’anni dal riuso del monumento. Colpevolmente chi ha lavorato alla confezione del progetto varesino Grand Tour Expo 2015 si è scordato del chiostro di Voltorre e allora cerchiamo di farlo rientrare finché siamo in tempo”.
Piero Lotti ha restaurato nel 2010 la statua della Madonna lignea trecentesca nel santuario di Santa Maria del Monte, ne conosce i segreti e li ha pubblicati in un libro: “Qualcuno ha provato a spiegare il culto delle Madonne nere alla luce del biblico Cantico dei Cantici dove il testo parla di una “fanciulla dall’incarnato scuro”, ma non esistono tracce documentali che la coloritura brunita fosse prassi nel Medioevo. L’adattamento dell’incarnato dal colore roseo-ambrato a quello attuale dovrebbe risalire all’inizio del ‘600 sull’onda dell’impulso culturale emanato dalla Madonna nera di Loreto”. La statua, insomma, sarebbe stata ridipinta. Ora il restauratore è di nuovo alle prese con le statue dei Re Magi in santuario, da poco restaurate. Si riaffaccia la necessità di consolidare il colore che rischia di sgretolarsi per il riscaldamento della chiesa.
Spiega Lotti: “Nel 2013 eravamo riusciti ad arrestare il sollevamento dei colori ma da una recente ricognizione sul gruppo ligneo ci siamo resi conto che qualche guaio comincia a ripresentarsi, piccoli sollevamenti causati dal vecchio sistema di riscaldamento del santuario. Ho già avvertito i responsabili. Le statue hanno bisogno di cure costanti e purtroppo modificare radicalmente l’impianto costa caro. Mi rendo conto che un santuario vivo, un luogo di culto aperto al pubblico non può essere “musealizzato”, tuttavia soltanto un nuovo impianto di riscaldamento può evitare il ciclico reiterarsi del problema”.
Torniamo alla bottega di famiglia. Il giovane Lotti ha vissuto fin da ragazzino “dentro” il lavoro del papà, Carlo Alberto, sviluppando l’idea di un sapere artigiano nel senso alto del termine che gli ha trasmesso il padre, poi si è formato le basi culturali con lo studio senza mai lasciare la pratica del restauro. Un’attività non meno importante del sapere accademico. Se il professor Silvano Colombo ha studiato il Sacro Monte attraverso i documenti d’archivio, se il professor Luigi Zanzi ne ha approfondito il profilo storico, filosofico, religioso e Giovanni Testori ha suggerito affascinanti interpretazioni che aprono nuovi orizzonti, la cura dell’arte popolare del Sacro Monte si è affidata anche a uomini come Carlo Alberto Lotti che lo hanno ispezionato a palmo a palmo, amato e descritto.
Partendo dalla visita pastorale di Carlo Borromeo nel 1578, egli verificò misura per misura la corrispondenza di dati e notizie, svolse una minuta analisi di tutto quel che c’è, raccolse e censì numeri e cose: quasi un lavoro da geometra, restauri compiuti con le tecnologie consentite dall’epoca, parti di Cappelle rifatte al netto delle polemiche per lo strappo del Nuvolone. “Mio padre – spiega Piero – mi portò sulla Via Sacra quando aprì il cantiere alla terza cappella, ero un ragazzino e sognavo di fare l’architetto. Poi incominciai a scendere nel laboratorio che sta sotto il nostro appartamento in via Vela come garzone di bottega e la passione è cresciuta, ho continuato il mestiere che avevo respirato da bambino. È stato un maestro non tanto di ricette e metodi di lavoro ma di passione e d’entusiasmo. Il restauratore, diceva, è l’umanista che ricostruisce filologicamente la storia dell’oggetto d’arte”.
Carlo Alberto Lotti non usava giri di parole per definire il suo compito al servizio, al capezzale delle Cappelle: “Siamo un’impresa di pulizia e dobbiamo solo pulire le statue”, diceva con umiltà, ma non fu un lavoro facile. Fino agli anni venti del secolo scorso il restauro era consistito nel ridipingerle completamente, dando nuove pennellate sopra i colori stinti. Dai tempi di padre Aguggiari, all’inizio del Seicento, le statue avevano subito sette ricoperture e l’ultima volta furono “ripassate” dal bergamasco Girolamo Poloni, braccio destro di Lodovico Pogliaghi. Con Lotti le cose cambiarono. D’accordo con monsignor Macchi, iniziò a pulire i colori sovrapposti nel corso dei secoli per tornare, dove possibile, alla pittura originaria.
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