Un altro anno scolastico è cominciato e l’istituzione soffre ancora il travaglio della crescita verso un traguardo di adeguamento ai tempi difficili della nostra società in crisi. Son piovute assicurazioni sui criteri di merito da adottare per gli scatti di anzianità del personale, su una efficiente autovalutazione delle scuole, su un miliardo di euro (e tre a regime) per stabilizzare centocinquantamila precari, sugli stanziamenti necessari per finanziare le connessioni internet, l’alternanza scuola-lavoro nell’istruzione tecnico-professionale, per la digitalizzazione dei servizi amministrativi.
Provvedimenti riguarderanno lo stop alle supplenze dei docenti per pochi giorni, l’abrogazione degli esoneri e semiesoneri per i collaboratori dei dirigenti scolastici (responsabili di sede), per il richiamo dei comandati. Saranno defalcati duemila collaboratori amministrativi a fini di bilancio e concesse, purtroppo, in minor numero le borse di studio, mentre tornano in campo i membri esterni in seno alle commissioni di maturità. Sono tutti provvedimenti di contenimento della spesa, ma anche di miglioramento del sistema, che non paiono certo risolutivi dei tanti problemi di fondo, anche se importanti.
Nella scuola ci si deve porre la questione di una capacità convinta di crescita, competizione e innovazione, più ancora che di reperire i saperi, di saperli usare, di una didattica innovativa (la classe frontale serve a poco) con insegnanti mentori e motivatori, che siano autentiche guide per la sperimentazione di saperi, strumenti, problemi. Al centro dell’attenzione devono essere i docenti o gli studenti? Che vanno incentivati, spronati, tutelati a partire dai loro autentici bisogni e desideri di affermazione. Bisogna creare personalità, l’abito critico, la disponibilità a mettersi sempre in gioco.
Per quanto concerne i rapporti scuola-lavoro a proposito dell’alternanza summenzionata c’è bisogno di tutor scolastici che si interfaccino con i tutor aziendali; compito dell’Indire (Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica) sarà quello di formarli; servono diplomati specializzati in tecnologie avanzate; vanno modernizzati, talora creati, molti laboratori. Le aziende firmeranno il protocollo di impegno e di collaborazione al MIUR; la selezione dei ragazzi adepti avverrà su base volontaria. Da promuovere a tale scopo incentivi fiscali per le imprese. È solo il primo passo verso un modello duale di tipo tedesco. L’anello debole del nostro sistema formativo è l’avere separato l’istruzione dal lavoro.
Certo è ormai un controsenso basare gli aumenti stipendiali degli insegnanti sul solo titolo dell’anzianità; è al merito che va legata la carriera. Non sia il ritornello di sempre senza pratica applicazione. Vanno verificati i risultati, la capacità di aggiornamento su un fondo di preparazione cospicuo. Insegnare e fare ricerca è il primo compito essenziale, non come in campo universitario esaurire le energie nella moltiplicazione esponenziale delle riunioni istituzionali. Quante compilazioni di dossier e schede! Intanto l’invecchiamento della classe docente universitaria è di tutta evidenza (vedi l’ingresso dei ricercatori nell’età media di 37 anni, degli associati a 44, degli ordinari a 51). Stupisce poi che in Italia la percentuale dei docenti sia inferiore del 25% rispetto a quanto succede in Germania, Francia, Inghilterra. I cicli concorsuali si svolgono in un clima generale di incertezza. Nelle ultime due selezioni la crescita verticale si è consumata tutta all’interno dei singoli atenei. C’è una spinta agli accorpamenti per i dottorati di ricerca con allargamento a dismisura della nozione di affinità, mentre invece certi saperi vanno protetti ad ogni costo.
Si è detto della centralità del soggetto educativo. Per lui importa più l’acquisizione di metodologie che il possesso di nozioni (tutt’altro che da trascurare) in un mondo in cui le fonti del sapere si moltiplicano, mentre urge il confronto col fermento e le inquietudini della realtà in movimento. Non l’umanesimo retorico ci sta a cuore, bensì il processo di effettiva maturazione delle coscienze. E le varie discipline vanno subordinate alla globalità dei processi di apprendimento. Certo allarmano la crescente sproporzione tra chi consegue un requisito di successo e le posizioni professionali realmente disponibili, la mancanza di prospettive occupazionali adeguate per chi non è dotato di particolare spirito di iniziativa. Allarma altresì il fatto che la scuola risulti un indiscriminato mercato del lavoro per i disoccupati intellettuali.
Per quanto concerne la scuola al suo interno, il suo quotidiano funzionamento, urgono poi modelli più cooptativi che di controllo, una cultura partecipativa affidata a una nuova autorevolezza. Purtroppo si avverte il declino di un apprendimento omogeneo e completo; non basteranno alla salvezza l’informatizzazione totale e l’introduzione dell’inglese per alcune discipline (solo mezzi pur necessari).
Preoccupa che i ragazzi piuttosto decisi e disinvolti nell’esposizione orale, risultino spesso incapaci di usare un linguaggio fluido e adeguato in iscritto. Le idee vanno connesse organicamente, va evitata l’erudizione frammentaria e dispersiva, enciclopedica. Ma varrà la pena di continuare nelle constatazioni e nell’esame dell’esistente.
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